Beati Vincenzo Lewoniuk e 12 compagni
Nome: Beati Vincenzo Lewoniuk e 12 compagni
Titolo: Martiri di Pratulin
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
I negoziati del 1595, che si conclusero con l'unione di Brest, unirono alla Chiesa romana gli ucraini ortodossi soggetti alla Polonia, che mantennero la liturgia e gli usi propri. Ne nacquero tensioni fra ucraini ortodossi e cattolici (cfr. S. Giosafat, 12 nov.) e le diverse identità si accentuarono con il passare del tempo.
Contrariamente alle promesse fatte dal governo polacco, ai cattolici di rito orientale non vennero riconosciuti i diritti civili e continuò la "polonizzazione" della élite ucraina.
La nobiltà e le classi colte adottarono il rito latino insieme con la lingua e l'identità etnica polacche. Paradossalmente, in quanto solo i popolani si riconoscevano cattolici di rito orientale, anche le classi alte finirono per amare sempre più la loro Chiesa: anche se disprezzata e impotente era pur sempre "la loro".
Frattanto gli ortodossi ucraini erano entrati nell'orbita della Chiesa russa, che a sua volta aveva subito trasformazioni drastiche e traumatiche, sotto il rigido controllo degli zar. In seguito alla divisione della Polonia sul finire del XVIII secolo, Caterina la Grande e i suoi successori furono costretti a reprimere il cattolicesimo di rito orientale nei territori di dominio russo. Elemento chiave della politica di "russificazione" fu quello di imporre un'identità russa alle nazioni sottomesse, negando loro il diritto di autodeterminazione. In successivi interventi culminati nel 1839, si ricorse all'esercito per costringere gli ucraini a una conversione di massa all'ortodossia. Mentre molti si assoggettarono pacificamente, numerosi altri opposero resistenza: vennero incarcerati, torturati, uccisi, privati dei figli e pesantemente tassati. E tutto con il pretesto che avrebbero dovuto essere grati per aver recuperato una fedeltà etnica, linguistica e religiosa "autentica". Lo zar Nicola I fece coniare una medaglia celebrativa con l'iscrizione: «Separati dall'odio nel 1595, riuniti dall'amore nel 1839».
L'eparchia di Chclm aveva rinunciato alla repressione, perché si trovava entro il "Regno del progresso", la Polonia, appartenente sì alla corona russa, ma con una certa autonomia garantita dal Congresso di Vienna. Questa venne, però, revocata nel 1863, a seguito di una rivolta nazionalista polacca, e nel 1873 lo zar Alessandro II soppresse l'eparchia di Chelm. Come prima mossa Markel Poppel, prete cattolico ucraino russofilo passato all'ortodossia, promosse una campagna per conformare la liturgia nelle parrocchie alla pratica ortodossa. Frattanto cominciò a preparare per le future evenienze un nutrito gruppo di neoconvertiti all'ortodossia.
I parrocchiani ucraini cattolici di Pratulin rimasero sconvolti quando il governo spogliò la loro chiesa dalle strutture "latinizzate": vennero rimossi gli organi, confiscati gli oggetti devozionali come i rosari e gli ostensori. Uno degli abitanti meglio informati, Maksym Hawryluk, trentaquattrenne, padre di tre figli, avvertì che questa poteva essere la scintilla che avrebbe fatto divampare l'incendio. Il parroco Giuseppe Kurmanowicz, celebrò la Messa per l'ultima volta a Natale. Poi fuggì in Galizia, la parte dell'Ucraina sotto dominio austriaco.
All'arrivo del prete designato dal governo, i parrocchiani gli preclusero l'ingresso in chiesa. Fu chiamato il governatore distrettuale Kutanin perché trattasse con gli oppositori, concedendo loro alcuni giorni per un ripensamento. Il 24 gennaio egli tornò a Pratulin accompagnato da un nuovo prete e da un contingente cosacco agli ordini del colonnello Stein.
Luca l3ojko, agricoltore di ventidue anni, scapolo, allettò tutti i villaggi della parrocchia e centinaia di contadini si raccolsero attorno alla Chiesa cattolica orientale. Gli uomini, vestiti, delle loro tuniche, sbarrarono l'accesso alle porte principali e rifiutarono a Kutanin la chiave della chiesa. Fra i difensori dell'edificio c'era Daniele Karmasz, stimato agricoltore di quarantotto anni, che inalberava un grande crocifisso. Egli spiegò a Kutanin, che, dopo la rimozione dell'organo, essi avevano stabilito di vietare ulteriori interferenze nella loro religione. Kutanin discusse con i contadini, ma a nulla valsero le minacce né le promesse.
Onofrio Wasyluk, sebbene solo ventunenne, era un leader nato, ed era stato eletto presidente del comitato del villaggio. Egli confidava che una pacifica dimostrazione da parte di tutto il popolo avrebbe trasmesso il messaggio fino alle autorità. Altri, però, erano giunti a Pratulin con un ben diverso stato d'animo.
Ignazio Franczuk, cinquant'anni aveva salutato la moglie Elena e i sette figli come se non avesse dovuto più rivederli. Prima di uscire di casa aveva indossato abiti puliti, intuendo che non sarebbe ritornato. Jan Andrzejuk, ventisei anni, aveva solennemente detto addio alla sposa e ai due figli. Essendo fra i pochi dirigenti del villaggio a saper leggere e scrivere, possedeva qualche indizio di ciò che avrebbe potuto accadere. Quel mattino parecchie persone affermavano: «È dolce morire per la fede!». Il colonnello Stein ordinò ai soldati di innestare le baionette ai fucili. I cosacchi avanzarono nel terreno della chiesa, aprendosi un varco con il calcio delle carabine. I cattolici resistettero all'urto, alcuni gettando sassi.
Il colonnello Stein ordinò ai suoi di ritirarsi e riorganizzare i contingenti, spiegare gli stendardi militari, e, al rullo dei tamburi, annunciare l'attacco.
Karmasz intimò ai cattolici di deporre sassi e bastoni: «Questo non è un combattimento; è una lotta per la fede e per Cristo». I contadini si inginocchiarono sulla neve; qualcuno intonò un inno a cui tutti si unirono. Il colonnello ordinò ai cosacchi di aprire il fuoco.
Vincenzo Lewoniuk, ventisei anni, fu colpito per primo, seguito da Daniele Karmasz. Appena Daniele cadde, la croce fu raccolta dalle sue mani da Francesco, che a sua volta un momento dopo cadde a terra. Luca Bojko cadde al proprio posto sulla porta della chiesa. Un proiettile colpi Aniceto Hyciuk, diciannove anni, venuto per rifornire di viveri i difensori della chiesa.
Il suo vicino, Filippo Geryluk, quarantaquattrenne, cullando fra le braccia il proprio piccino morto, tentò di protestare con i cosacchi, ma questi uccisero anche lui. La moglie di Wasyluk, che l'aveva visto cadere con una pallottola nella testa, tentò coraggiosamente di consolare il pianto della madre: Onofrio era innocente c ci si doveva rallegrare perché aveva dato la vita per la fede.
Costantino Bojko, un povero contadino di quarantanove anni, e Michele Wawryszuk, di ventuno, caddero sotto le raffiche. Costantino Lukaszuk, quarantacinque anni, giaceva morto nel camposanto, trapassato da una baionetta.
I cosacchi caricavano all'impazzata, e il massacro sarebbe continuato se uno di essi non avesse ferito accidentalmente un compagno. Cessato íl fuoco, abbatterono la porta della chiesa con una scure, lasciando all'interno il prete designato dal governo. Frattanto la gente raccolse i feriti, circa centottanta, per portarli al sicuro. Andrzejuk morì appena tornato a casa. llawryluk, agonizzante per una ferita allo stomaco, fu riportato alla propria abitazione durante la notte. Bartolomeo Osypiuk, agricoltore di trent'anni, morì davanti alla moglie e ai due figlioletti, pregando per i suoi persecutori e dicendosi felice di dare la vita per il Signore. Molti dei sopravvissuti vennero incatenati e rinchiusi in carcere. I corpi degli uccisi rimasero tutto il giorno sul terreno del cimitero, prima di essere sepolti in una fossa comune. Sebbene il luogo fosse stato accuratamente livellato, la gente lo individuò. Il massacro di Pratulin è il più documentato fra gli episodi di violenza perpetrati durante la repressione dell'eparchia di Chelm.
Oggi Pratulin si trova in diocesi di Siedlce, regione del Podlachia, Polonia orientale. Vincenzo Lewoniuk e i suoi tredici compagni sono stati beatificati da Giovanni Paolo II a Roma il 6 ottobre 1996. Nel giugno del 1999, celebrando a Siedlce con vescovi latini e orientali di Podlachia, Ucraina e Russia, il papa pronunciò una lunga omelia dicendo fra l'altro: «Oggi veneriamo le reliquie dei martiri del Podlachia e adoriamo la croce di Pratulin, tacita testimone della loro eroica fedeltà. Essi innalzarono questa croce e la scolpirono nel loro cuore in segno di amore al padre e di unità nella Chiesa di Cristo».
I loro nomi sono: beati Daniele Karmasz, Luca Bojko, Bartolomeo Osypiuk, Onofrio Wasiluk, Filippo Kiryluk, Costantino Bojko, Michele Niceforo Hryciuk, Ignazio Franczuk, Giovanni Andrzejuk, Costantino Lubaszuk, Massimo Hawryluk, Michele Wawrzyszuk.
MARTIROLOGIO ROMANO. Nel villaggio di Pratulin nei pressi di Siedlce in Polonia, beati Vincenzo Lewoniuk e dodici compagni, martiri: irremovibili di fronte a minacce e lusinghe, non vollero separarsi dalla Chiesa cattolica e inermi furono uccisi o feriti a morte per essersi rifiutati di consegnare le chiavi della loro parrocchia.
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