Beato Marcello Callo
Nome: Beato Marcello Callo
Titolo: Laico, martire
Nome di battesimo: Marcel Callo
Morte: 19 marzo 1945, Mauthausen, Austria
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Beatificazione:
4 ottobre 1987, Roma, papa Giovanni Paolo II
Marcello Callo nacque a Rennes nella Bretagna il 6 dicembre 1921, secondo di nove figli nati a Marcello e Felicita Maria Giuseppina, una famiglia modesta.
La madre sperava che il primogenito, Giovanni, diventasse prete ed egli, nel 1943, fu effettivamente ordinato a Rennes, poco dopo che Marcello era stato portato in Germania.
Marcello non era uno studente brillante. Era intelligente ma non costante. Nonostante la poca applicazione riuscì a ottenere i titoli necessari per essere in seguito apprezzato dalla città. Era un gran burlone e ogni giorno in classe veniva punito.
Chierichetto per sette anni, divenne membro della crociata eucaristica, che segnò la sua personalità. L'eucarestia rimase sempre al centro della sua vita.
All'età di dieci anni e mezzo fece la prima comunione e la cresima un anno dopo. A casa era affettuoso e fedele, soprattutto verso la madre, la cui fede e comprensione lo guidarono alla maturità spirituale. I1 movimento scout, in cui entrò nel 1933, lo entusiasmò e nell'animo rimase scout tutta la vita.
Apprendista presso uno stampatore locale nel 1934, Marcello si trovò in un ambiente che lo turbò molto: una vita familiare retta e pia e l'atmosfera sana degli scout non lo avevano preparato alla conversazione salace e volgare del duro mondo degli adulti, Grazie alla confessione regolare e alla Messa quotidiana, gradualmente riuscì a inserirsi nell'ambiente circostante. Le ore di lavoro nella stamperia erano molte, eppure continuò a svolgere il duro lavoro di casa per aiutare la madre, e a lei consegnava anche il suo salario per mantenere la famiglia.
A quattordici anni, prese una decisione importante: l'abate Martinais, che stava cercando membri per la Jeunesse Ouvriére Chrétienne (Giovani lavoratori cristiani), invitò Marcello a unirsi alla sua sezione. Marcello, che era realmente soddisfatto del suo cammino scout, era abbastanza restio ma sia il prete che la madre, scontenta delle frequenti assenze del figlio per le riunioni e le uscite di gruppo, ebbero la meglio. Incapace di distaccarsi totalmente, Marcello decise di essere sia scout che jociste.
Col tempo, crescendo negli ideali della J.O.C. e diventando sempre più impegnato, il suo legame con gli scout si affievolì. Da quel momento il suo primo desiderio fu quello di portare i compagni di lavoro a Cristo e Cristo a loro.
Le vicende drammatiche della sua vita e la morte nel campo di concentramento di Mauthausen furono la conseguenza del suo zelo apostolico e della devozione al suo impegno.
Diventando presidente del gruppo, Marcello riuscì ad appagare il suo zelo e a esprimere il suo indubbio carisma di leader. Divenne l'amico e il confidente di tutti i membri e l'anima delle loro attività. L'abate Martinais testimoniò la totale riorganizzazione dell'associazione da parte di Marcello: «Sotto la sua presidenza la sezione divenne un centro di intensa vita jociste, un gruppo di giovani uomini impegnati», anche se non era facile raggiungere il modello evangelico in un contesto che considerava i lavoratori cristiani dei traditori.
La formula di consacrazione di Marcello mostra come fosse l'amore il fondamento sottostante tutte le sue attività: «O Cristo, voglio diventare sempre più una guida J.O.C., un combattente in prima linea puro e gioioso.
Nel mio grande amore per i miei fratelli, voglio conquistare giovani lavoratori. Voglio vivere in te, Gesù. Voglio pregare con te. Per la tua gloria voglio donare tutta la mia forza e tutto il mio tempo, in ogni momento della mia vita».
Durante otto anni di attività jociste, dal 1935 al 1943, Marcello Callo diede il massimo, ma ricevette anche molto dal movimento. L'aiuto e la guida dell'abate Martinais non mancarono mai: vi erano ritiri regolari e giorni di raduno, ma soprattutto vi era la dottrina del Corpo mistico di Cristo che sosteneva il movimento e ispirava i suoi migliori lavoratori.
Che Marcello fosse tra questi non vi era alcun dubbio, e anche i suoi compagni erano i primi a dichiarare: «Non ho mai sentito nessuno parlar male di lui», «nessuno gli ha mai rimproverato nulla», «era un modello per noi», «non ho mai trovato alcuna mancanza in lui. È vero, era vivace e si faceva trasportare. Ma era il primo a riconoscere se aveva esagerato».
A vent'anni Marcello si fidanzò con Margherita, una compagna della J.O.C., e più tardi programmarono di annunciare il loro fidanzamento in occasione dell'ordinazione di suo fratello Giovanni. Nel frattempo, con l'anno 1943, la guerra era arrivata fino a Rennes, con gli alleati che bombardavano fabbriche di munizioni, magazzini e le linee ferroviarie. La prima disgrazia che colpì la famiglia Callo fu la morte di Maddalena, la terza figlia, durante un'incursione aerea. Contemporaneamente, Marcello fu chiamato per andare a lavorare in Germania. Avrebbe potuto nascondersi ed evitare la chiamata, ma questo avrebbe esposto il padre e il fratello, che stava per essere ordinato prete, a rappresaglie.
Alla fine decise che Dio lo stava chiamando a compiere un'opera missionaria in Germania. Partì il 19 marzo per la Turingia. Vi erano circa ottanta bretoni in un gruppo di francesi alloggiati nelle baracche nel campo più grande a Zella-Mehlis. I francesi vennero assegnati alla fabbrica di armi Walther, dove erano impiegati circa tremila lavoratori per dieci o undici ore al giorno.
Trascorrevano il resto del tempo nelle baracche, affamati e infreddoliti. I deportati e i prigionieri, qualunque fosse la loro nazionalità, erano trattati ín maniera disumana dalle guardie. Nell'anno precedente all'arrivo di Marcello vi era stata una sola Messa e un'unica assoluzione collettiva. Oltre a questo dispiacere c'erano le prostitute francesi che avevano seguito i deportati.
Marcello arrivò fisicamente e moralmente provato in seguito a una intossicazione alimentare. Si era ferito un dito in una macchina, soffriva di mal di denti, emicranie e coliche. Gli avevano rubato il portafoglio e gli avevano detto che la sua famiglia era stata bombardata. I primi tre mesi furono molto difficili, poi però si risollevò e ritornò quello di un tempo, ritrovando il suo fervore e la determinazione per portare gli altri a Cristo.
Parlò di questo periodo di prova in una delle sue lettere successive: «I due mesi dopo il mio arrivo furono estremamente duri. Non avevo voglia di far niente. Non provavo sentimenti. Mi rendevo conto che mi stavo dissociando a poco a poco. Improvvisamente Cristo mi scosse e mi fece capire che ciò che stavo facendo non era buono. Mi disse di andare e di prendermi cura dei miei compagni. Allora la mia gioia di vivere ritornò».
Tra i deportati e in altri campi nella regione vi erano altri jocistes. Presto si misero in contatto per programmare il loro apostolato. Marcello iniziò organizzando messe con un prete tedesco che conosceva il francese e poteva confessare. Convinse altri ad adempiere al precetto pasquale e presto riuscì a organizzare una Messa mensile alla quale potevano partecipare deportati e prigionieri. Il suo gruppo jociste si incontrava nelle foreste.
Vi erano altri gruppi e altre attività: l'Amicale franQais de Zella-Melhis, del cui gruppo teatrale Marcello faceva parte, e la squadra di calcio in cui giocava. Insegnò ai suoi compagni altri giochi, allo scopo di fornire distrazioni salutari e di costruire una rete di contatti per far circolare le informazioni sulla Messa. Nel frattempo la Gestapo stava seguendo gli eventi e leggendo probabilmente le sue numerose lettere. Le associazioni clandestine erano state proibite e inevitabilmente arrivò il giorno nel quale la Gestapo piombò su di lui.
L'occasione venne fornita dalla lista dei leader jocistes trovata presso i fratelli Vallée, anche loro jocistes, che erano stati arrestati. 11 nome di Marcello era lì riportato.
Quando fu chiesto agli agenti della Gestapo il motivo del suo arresto, essi risposero: «È troppo cattolico». Marcello chiese a un compagno di scrivere ai suoi familiari per dir loro che era stato arrestato a causa della sua opera cattolica, ed egli stesso scrisse: «Sapete anche voi che poteva accadere, e io me lo aspettavo». Con altri undici jocistes fu mandato nell'aprile 1944 nella prigione di Gotha, dove rimase fino a ottobre.
Fu obbligato a lavorare duramente, ma vi furono anche momenti di gioia come quando seppero dell'invasione della Normandia o quando riuscirono a ricevere l'eucarestia. Marcello esclamò: «Comunione. Gioia immensa!».
Dal luglio 1944 non vi furono più lettere. Nell'ultima che scrisse alla famiglia la sua fede è ancora luminosa: «Fortunatamente ho un Amico che non mi abbandona mai e mi aiuta quando le cose sono difficili o troppe. Con lui tutto può essere sopportato. Sono riconoscente a Cristo per avermi mostrato la via che adesso percorro. Quanti bei giorni ho da offrirgli. Offro le mie sofferenze e le mie difficoltà per tutti voi, miei amati genitori, la mia piccola fidanzata, per Giovanni, peìché il suo ministero possa portare frutti e per tutti i miei amici e compagni. Sì, è una buona cosa, è una fonte di forza stare soffrendo per quelli che si amano».
Il pensiero che avrebbe dovuto patire le ultime sofferenze non appare evidente nelle lettere di Marcello. Al contrario, egli spesso parla di un suo ritorno e della prospettiva di avere una famiglia propria. Il trasferimento ai campi di concentramento di Flossenburg e Mauthausen, nell'ottobre del 1944, tuttavia, non avrebbe dovuto lasciargli alcun dubbio. Nel primo campo centinaia di corpi venivano bruciati ogni giorno, e l'odore della carne bruciata pervadeva l'aria, mentre i vivi non erano altro che scheletri ambulanti. Il 26 ottobre venne mandato a Giissen I, un campo di ventun ettari che alloggiava ventimila prigionieri, dove trascorreva dieci ore al giorno smistando rivetti per aeroplani, in una soffocante fabbrica sotterranea.
A novembre fu trasferito a Giissen II, dove le condizioni erano ancora più dure. Un breve intervallo di quattro o cinque ore per dormire veniva interrotto a frustate. Seguiva un'attesa di due ore per ricevere un liquido nerastro e sottostare all'interminabile appello al freddo pungente. A tutto ciò seguiva un turno di dodici ore in una fabbrica sotterranea.
Marcello aveva perso gli occhiali, non riusciva neanche a vedere dove andava. Ogni goffaggine era guardata come un tentativo di sabotaggio e veniva punita con venticinque frustate.
La maggior parte delle vittime si accasciava dopo quattro o cinque frustate e veniva picchiata senza pietà. Marcello sopportò questa punizione quattro volte, ma non insultò mai le sue guardie come la maggior parte degli altri faceva. Da dicembre in poi il cibo era costituito solamente da foglie di barbabietole e bucce di patate non lavate, una gavetta di zuppa doveva bastare per sei persone. Marcello iniziò a soffrire di edema e di pustole oltre ai dolori di stomaco ormai cronici. Pregava continuamente ed era sempre disposto a condividere la sua misera razione con gli altri. Tentava di confortare i suoi compagni: «Cristo è con noi. Non dobbiamo arrenderci. Dio si prende cura di noi».
A causa di dolori al petto, Marcello venne accolto in infermeria per un primo ricovero dal 5 al 20 gennaio del 1945. Tra le cinque persone assegnate a ogni letto vi potevano essere dei cadaveri non notati; c'erano dai quaranta ai cinquanta morti al giorno. Vi sarebbe dovuto ritornare in seguito, questa volta per morirci. I malati venivano lasciati nudi, in un clima gelido, sofferenti per il tifo e la dissenteria. Così testimoniò il colonnello Tibodo, che lo vegliò durante le sue ultime ore:
Conobbi Marcello Callo solo per poche ore, prima della sua morte, che furono sufficienti per constatare che quel giovane uomo era superiore al livello medio dei giovani. Egli era ancora cosciente quando lo conobbi. C'erano delle latrine nelle baracche. Lui vi cadde dentro, ma io riuscii a tirarlo fuori senza che nessuno vedesse. Fu allora che compresi che non era come gli altri giovani, conobbi il suo nome perché me lo disse, ma sfortunatamente non ricordo null'altro di quel che disse. Se me lo ricordo, e sono stato in molti campi e ho conosciuto molte persone, fu perché Marcello Callo aveva una espressione davvero sovrannaturale. Ciò che sto dicendo non riesce a rendere l'idea: il suo aspetto era piuttosto una visione di speranza, speranza in una nuova vita [...]. Esprimeva la profonda convinzione di andare verso una fine beata. Era un atto di fede e sperava in una vita migliore. Non ho mai visto sul volto di un uomo un'espressione simile a quella. Egli aveva la faccia dei santi.
Marcello Callo morì il 19 marzo 1945, due anni dopo la partenza per la Germania. Secondo le affermazioni del dottore del campo perì per tubercolosi seguita da dissenteria, causata dalla debolezza e dal digiuno. Poiché dal mese di maggio non vi era più carbone da bruciare nell'inceneritore si può dedurre che il suo corpo fu sepolto in una fossa comune vicino al campo dove fu piantata una croce. È stato beatificato da Giovanni Paolo II i14 ottobre 1987.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Mauthausen in Austria, beato Marcello Callo, martire, che, giovane originario di Rennes in Francia, durante la guerra confortava con spirito cristiano nella fede i compagni di prigionia sfiniti dai lavori forzati e per questo fu ucciso nel campo di sterminio.
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