San Tito Brandsma
Nome: San Tito Brandsma
Titolo: Sacerdote
Nome di battesimo: Anno Sjoerd Brandsma
Morte: 26 luglio 1942, Dachau. Germania
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Beatificazione:
3 novembre 1985, Roma, papa Giovanni Paolo II
Anno Sjoerd Brandsma, nacque nel 1881 nella provincia della Frisia, nei Paesi Bassi, da una famiglia di agricoltori fermamente cattolici, pur vivendo in una regione che era per la maggior parte calvinista. Tre delle sue quattro sorelle diventarono monache, e il suo unico fratello sacerdote francescano. Anno ricevette una buona istruzione, rivelando una particolare abilità nella filosofia e nelle lingue, e conseguì la laurea in filosofia a Roma. Si disse che, quando annunciò la sua intenzione di diventare carmelitano, la sola obiezione dei suoi genitori fu che avrebbero preferito diventasse francescano, ma egli rimase fermo nella sua decisione e ricevette l'ordinazione sacerdotale come carmelitano nel 1905, con il nome di Tito.
Al suo ritorno nei Paesi Bassi, insegnò filosofia nel seminario carmelitano di Oss, per quindici anni, durante i quali fu molto attivo nelle questioni che riguardavano i cattolici: fondò una rivista di devozione mariana, pubblicò un giornale locale, istituì una biblioteca pubblica cattolica e un liceo scientifico, oltre a intraprendere la traduzione in olandese delle opere di S. Teresa d'Avila (15 ott.). Nel 1923, divenne professore di filosofia e di storia del misticismo all'università cattolica di Nimega, incarico che svolse per diciannove anni. Il misticismo diventò il suo argomento di studio preferito, perciò fondò un istituto per la mistica olandese, organizzando tre congressi internazionali su tale argomento, e tenendo alcune conferenze su questo tema negli Stati Uniti d'America e in differenti paesi europei.
Divenne ben presto una figura nazionale, grazie al contributo offerto a riviste e giornali, assistente ecclesiastico dei giornalisti cattolici olandesi. Inoltre, fu magnifico rettore dell'università per un mandato, dal 1932 al 1933.
Oltre ai suoi impegni ufficiali, Tito promosse l'unità cristiana, e cercò di far riconoscere ufficialmente la lingua frisone; fu inoltre cappellano volontario in una casa di riposo per anziani, dove celebrava la Messa ogni domenica. Nel 1935, quando il governo tedesco promulgò nuove leggi sul matrimonio contro gli ebrei, protestò ufficialmente scrivendo sui giornali, e tenne una serie di conferenze nei Paesi Bassi per spiegare l'iniquità (li questa legislazione. Fu intorno a questo periodo che progettò di far rifugiare gli ebrei in una missione carmelitana in Brasile, ma l'inizio della guerra e l'invasione tedesca ne impedirono l'attuazione.
Dopo l'invasione dei Paesi Bassi all'inizio della seconda guerra mondiale, Tito credeva fosse suo dovere pubblicare alcune direttive sui giornali olandesi sul modo di affrontare il nemico, oltre a dichiarare che la stampa non poteva continuare a sostenere la propaganda o gli avvisi nazisti ed essere considerata ancora cattolica. Difese le scuole cattoliche dagli attacchi dell'autorità occupante. Quando i suoi amici lo avvisarono che era molto probabile che fosse arrestato, egli replicò: «Bene, otterrò quello che ho avuto così raramente, e ciò che ho sempre voluto, una cella tutta per me. Finalmente sarò un vero carmelitano».
I nazisti, che lo chiamavano «quel piccolo frate pericoloso», lo arrestarono subito dopo la sua dichiarazione ai giornalisti cattolici. Tito trascorse alcuni mesi in varie prigioni, durante i quali scrisse una biografia di S. Teresa d'Avila, e tenne un diario. Ad Amersfoort, dove i carcerieri erano molto severi, incitò gli altri prigionieri a pregare per loro, e quando questi ultimi replicarono che era molto difficile farlo, Tito rispose: «Non c'è bisogno che preghiate per loro tutto il giorno; Dio è molto contento anche di una sola preghiera». In un'occasione successiva, disse a proposito dei carcerieri: «Anch'essi sono figli del buon Dio, e chissà se qualcosa [di buono] è rimasto in loro».
Alla fine, Tito fu deportato nel campo di concentramento di Dachau, ma non si sa se gli sia stata offerta la libertà in cambio della promessa di tacere; tuttavia per i carcerieri era sottinteso, in quanto diverse volte dissero ai suoi compagni che avrebbe potuto facilmente uscire di prigione ed essere libero.
Era rinchiuso nel campo di concentramento solo da cinque settimane, e già aveva influenzato profondamente gli altri detenuti, sopportando le percosse senza lamentarsi, e cercando di nuovo di convincerli a pregare per i loro persecutori. Ai sacerdoti tedeschi presenti nel campo fu concesso di celebrare la Messa in un gruppo separato di baracche, ed essi passarono delle ostie consacrate a Tito, che correva un grave rischio nel distribuirle agli altri prigionieri. I lavori forzati lo stremarono perciò fu trasportato all'ospefiale del campo; dopo essere stato sottoposto, come cavia, ad alcuni esperimenti, fu ucciso con un'iniezione letale il 26 luglio 1942, poi cremato.
Anche l'infermiera olandese che gli fece l'iniezione in passato era stata cattolica; Tito le aveva parlato durante la degenza in ospedale, tentando di persuaderla a ricominciare a pregare, ma la donna aveva rifiutato di farlo, e quando Tito le donò il suo rosario, protestò che non si ricordava più le preghiere, al che egli rispose: «Bene, sicuramente puoi ancora dire Prega per noi peccatori».
Dopo la guerra l'infermiera si riconvertì al cristianesimo, e testimoniò che Tito aveva sofferto pazientemente durante gli esperimenti ai quali l'avevano sottoposto, e che aveva accettato la morte dicendo: «Non sia compiuta la mia volontà, ma la tua». Il suo culto divenne molto popolare nei Paesi Bassi, specialmente dopo la pubblicazione delle opere scritte in carcere. La sua causa è iniziata nel 1973, e la beatificazione è avvenuta nel 1985.
MARTIROLOGIO ROMANO. Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, beato Tito Brandsma, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani e martire, che, di origine olandese, affrontò serenamente ogni genere di sofferenze e di umiliazioni in nome della difesa della Chiesa e della dignità dell’uomo, offrendo un esempio insigne di carità verso i compagni di detenzione e verso gli stessi carnefici.
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