Don Dolindo Ruotolo nacque a Napoli il 6 ottobre 1882, quinto di undici figli di Raffaele Ruotolo, ingegnere e matematico, e Silvia Valle, di nobili origini napoletane e spagnole. Fin dall'infanzia, Dolindo affrontò gravi problemi di salute e le difficoltà economiche della famiglia. Nel 1896, a seguito della separazione dei genitori, fu avviato insieme al fratello Elio alla Scuola Apostolica dei Preti della Missione. Tre anni dopo iniziò il noviziato, e il 1º giugno 1901 pronunciò i voti religiosi. Desideroso di essere missionario, chiese invano di essere inviato in Cina.
Il 24 giugno 1905, a quasi 23 anni, fu ordinato sacerdote. In seguito, divenne professore dei chierici della Scuola Apostolica e maestro di canto gregoriano. Insegnò anche a Taranto e al seminario di Molfetta, lavorando per la riforma del seminario.
Nel 1907, a causa di accuse di eresia, fu convocato a Roma dal Sant'Uffizio, che dopo un'inchiesta di quattro mesi lo sospese a divinis e gli ordinò una perizia psichiatrica, risultata negativa. Espulso dalla congregazione, venne sottoposto anche a un esorcismo. Dopo essersi trasferito a Rossano in Calabria, la sua sospensione fu revocata nel 1910. Tuttavia, subì ulteriori processi, fino a essere riabilitato definitivamente il 17 luglio 1937.
Tornato a Napoli come sacerdote diocesano, si stabilì nella chiesa di San Giuseppe dei Nudi, dove ideò l'Opera di Dio e l'Opera Apostolato Stampa. Dolindo dedicò gran parte della sua vita alla scrittura, lasciando un vasto patrimonio di opere teologiche e ascetiche. Il suo "Commento alla Sacra Scrittura", in 33 volumi, si distinse per un metodo esegetico tradizionale volto a conciliare fede e scienza, ma venne condannato dal Sant'Uffizio.
Tra i suoi scritti più noti vi sono l'"Atto di Abbandono", che invita i fedeli a una completa fiducia in Cristo, e la "Novena dell'Abbandono". Dolindo subì un ictus nel 1960, che gli paralizzò il lato sinistro del corpo, e morì il 19 novembre 1970. Venne sepolto nella chiesa di San Giuseppe dei Vecchi e di Nostra Signora di Lourdes a Napoli, dove è ancora oggi venerato. Numerosi fedeli, seguendo le sue parole “venite a bussare alla mia tomba... io vi risponderò”, pregano presso il suo sepolcro per chiedere grazie.
Durante la sua vita, don Dolindo fu ritenuto un santo vivente da molti, inclusi altri uomini di fede come San Pio da Pietrelcina, che invitò i pellegrini a rivolgersi a lui. Viene ricordato come un maestro di spiritualità, taumaturgo, e un amanuense dello Spirito Santo, capace di coniugare una profonda umiltà con un fervente zelo apostolico.
LETTERA DI ADDIO
Don Dolindo Ruotolo, nella sua toccante lettera di addio, si abbandonò alla Volontà divina, riconoscendo la propria nullità e ricordando la sua vita come un pellegrinaggio tra pene e umiliazioni. Scrisse: "Io anticipo col cuore tutto unito alla tua Volontà, il mio addio alla terra, dove passai pellegrino tra tante pene, dove fui un povero nulla, dove vissi nel pieno sentimento del mio niente."
Salutò la terra con queste parole: "Addio, addio, o povera terra desolata tra tante miserie, addio; scenda su di te la benedizione di Dio, in ogni angolo tuo si lodi Dio, in ogni tua dimora regni la pace... Addio! Ti vedrò dall'alto come atomo fuggente nello spazio, e ti benedirò ancora... Addio!"
Rivolse il suo amore alla Chiesa Cattolica, che lo generò alla grazia e lo accompagnò fino alla dignità sacerdotale: "Addio, o Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, madre mia e delle anime. Quando io nacqui tu mi generasti alla grazia, quando morirò mi partorirai alla gloria, per l'infinita misericordia di Dio." Salutò il Tabernacolo, definendolo "depositario delle mie gioie e delle mie pene, del mio povero amore e della mia filiale fiducia, dei miei sospiri e dei miei desideri."
Ricordò con affetto la sua "povera stanzuccia" e le strade percorse nella sua missione: "Addio, o strade che ho percorso ogni giorno nella giovinezza, e poi curvo dalla vecchiezza, per donarmi a Gesù e donare Gesù alle anime, addio!" E sottolineò la sua umiltà dicendo: "Non ho avuto mai un sentimento di astio o di avversione per chi mi ha fatto del male. Non ho avuto neppure bisogno di perdonare, perché ho sempre pensato che l'unico ad aver bisogno di essere perdonato sono io."
Nel descrivere il momento della morte, scrisse: "Mi chiuderanno in una cassa, che desidero poverissima, di legno grezzo, e sarà forse bagnata di lacrime per la carità di chi mi tollerò e mi compatì nella vita. Si abbasserà il coperchio di quella cassa come un ultimo addio... e sparirò dagli occhi umani per essere accolto da una povera fossa." E concluse proclamando con fiducia: "Se picchierete sul mio sepolcro, io dirò ancora: Confido in Dio! Confidate in Dio!"