Beati Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld

Beati Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld
Nome: Beati Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld
Titolo: Martiri della Rivoluzione francese
Ricorrenza: 2 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione


I martiri della Rivoluzione francese sono commemorati collettivamente il 2 gennaio, mentre la festa in data odierna celebra un gruppo molto particolare di martiri, che morirono tutti in quattro prigioni a Parigi, il 2 e 3 settembre 1792. La Chiesa enumera e venera cento novantuno martiri, per la stragrande maggioranza ecclesiastici, ma la loro morte deve essere necessariamente vista nel contesto più ampio di una serie di atrocità sfrenate che provocarono la morte di molte altre persone che caddero per la loro fede, inclusi alcuni il cui nome è rimasto ignoto e più di quaranta giovani con meno di diciotto anni. Poiché il massacro avvenne illegalmente, gli archivi ufficiali erano quasi inesistenti, e persino questi rimasero distrutti nell'incendio all'Hotel de Ville a Parigi nel 1871. Le fonti d'informazione più importanti furono i testimoni oculari, in particolare quei pochi sacerdoti che riuscirono a scappare. Con la promulgazione della Costituzione Civile del Clero il 12 luglio 1790, l'Assemblea Costituente effettivamente alienò ogni sostegno che la Chiesa avrebbe potuto offrire alla Rivoluzione. Dichiarando che il clero francese era al servizio del pubblico, indipendente dalla Santa Sede, si richiedeva a ognuno di giurare alleanza alla Costituzione. Inizialmente ogni ecclesiastico che avesse rifiutato sarebbe stato privato di tutti suoi beni, ma successivamente, nel 1792, la condanna si tramutò in pena di morte.

Alcuni ecclesiastici, inclusi quattro vescovi e un certo numero di sacerdoti, che provenivano in gran parte da zone non urbane, non pensando che fosse un rinnegamento della fede e della morale, prestarono giuramento. La maggioranza, pensando fosse una mossa politica contro la Chiesa romana e un tentativo di creare una Chiesa nazionale, scismatica, al suo posto, rifiutò: si trattava dei refrattari.

La Chiesa s'indebolì, poiché divisa, sebbene le autorità gerarchiche condannassero immediatamente il decreto come illegale. Questa condanna fu confermata, ma solo dopo dieci mesi, il 10 marzo 1791, da papa Pio VI (1775-1799), che definì il decreto «eretico, contrario all'insegnamento cattolico, sacrilego, e in contrasto con i diritti della Chiesa». Per tutto il 1791, fu fatta pressione sui refrattari perché pronunciassero il giuramento; alcuni si recarono all'estero, e di quelli che abbandonarono le loro parrocchie, non pochi andarono a Parigi, dove vissero anonimamente tra i lazzaristi, i sulplici e altri. L'atteggiamento antireligioso dell'Assemblea Legislativa si rafforzò e il 29 novembre si decretò che ogni sacerdote che non avesse prestato giuramento entro otto giorni sarebbe stato accusato di avere mauvaises intentions vers la Patrie (in altre parole, di essere un traditore). Nell'aprile del 1792, questa accusa fu rivolta a quasi tutti i sacerdoti, senza tenere conto della loro opinione. La Francia aveva dichiarato guerra a una lega capeggiata dall'imperatore austriaco, Giuseppe II (1780-1790), e da Federico Guglielmo II (1786-1797), re di Prussia, e il papa era stato persuaso da sacerdoti emigrés a Roma a dichiarare il suo sostegno in favore della coalizione.

Schedati ora come nemici della Rivoluzione, gli ecclesiastici comparvero in modo prominente accanto ai membri dell'aristocrazia e a molti altri che furono arrestati durante le ultime due settimane dell'agosto 1792. Il giorno 23, la fortezza a Longwy si arrese alle armate della coalizione, il 30 Verdun fu posta sotto assedio, e la rivolta contadina della Vandea contro la Rivoluzione rese ulteriormente instabile una situazione già incerta. Lo stato d'animo che regnava a Parigi, dove la monarchia era stata appena abolita, era un miscuglio di panico, terrore e trionfalismo. Ci fu un'euforia marziale, quando il Concilio Esecutivo Provvisorio reclutò trentamila volontari, ma allo stesso tempo il popolo si convinse che, una volta che le truppe fossero partite, Parigi sarebbe stata indifesa contro una fuga di massa dalle prigioni. Nulla può giustificare ciò che accadde successivamente, ma parte della colpa risiede nel linguaggio infiammato e nell'atteggiamento laissezfaire dei capi della Rivoluzione. Domenica 2 settembre, Marat affermò retoricamente su L'Ami du Peuple: «Cittadini, il nemico è alle porte! [...] Non un singolo nemico deve restare a Parigi per godere della nostra disfatta!».

Quello stesso pomeriggio, ventiquattro sacerdoti che erano stati segnalati per la deportazione furono assaliti da una folla ostile mentre si recavano sotto scorta armata dalla mairie alla prigione Abbaye. Fin qui la situazione fu contenuta, ma quando raggiunsero la prigione una folla più grande chiese che fossero "giudicati", processo che fu condotto in modo sommario dal famigerato Stani-slao Maillard, che si era fatto un nome all'inizio della Rivoluzione e che ora capeggiava una compagnia di paramilitari. Quando i sacerdoti rifiutarono di prestare giuramento d'alleanza alla Costituzione furono lasciati nelle mani della folla, che ne uccise la maggioranza.

Cinque di loro sopravvissero per testimoniare quello che era successo, incluso l'abate Roch, Ambrogio Sicard, il cui imprigionamento mostrò quanto fossero diventati arbitrari gli arresti: era giunto da Bordeaux a Parigi nel 1789, e come fondatore e direttore di una scuola per bambini sordomuti era immensamente popolare tra gli operai della città. Tra i diciannove sacerdoti martiri c'era il confessore del re, Alessandro Lenfant, che precedentemente era stato gesuita (la Compagnia di Gesù era stata soppressa tra il 1759 e il 1814), amico e sostenitore della famiglia reale in precedenza.

Successivamente, quel giorno, ebbe luogo una simile carneficina nella chiesa carmelitana a Rue de Rennes, dove erano rinchiusi centocinquanta vescovi e sacerdoti, oltre a un laico («non c'è più niente da fare qui», si dice abbia affermato Maillarel dopo il massacro all'Abbaye, «perciò andiamo dai carmelitani»). Diversi ve-scovi e alcuni sacerdoti stavano recitando il vespro in una cappella quando la banda organizzata di assassini irruppe nel giardino e uccise il primo sacerdote che incontrò. L'arcivescovo di Arles, Jean-Marie du Lau, uscì dalla cappella, seguito dal vescovo Frangoise Joseph de la Rochefoucauld di Beauvais e suo fratello, il vescovo Pierre Louis de la Rochefoucauld di Saintes, per scoprire cosa stesse succedendo. L'arcivescovo di Arles fu sommariamente giustiziato appena ammise la sua identità, e nell'attacco armato che seguì, il vescovo di Beauvais fu colpito a una gamba.

A questo punto sembra che anche gli esecutori del crimine fossero impressionati dalla casualità delle uccisioni, e fu nominato un "giudice" che approvasse le sentenze, seduto in un corridoio tra la chiesa e la sacrestia, davanti al quale furono portati a due a due i prigionieri, inclusi quelli che avevano tentato disperatamente di scappare. Nessuno era disposto a prestare giuramento, ma tutti erano pronti alla morte, mentre scendevano le scale. Quando fu pronunciato íl nome del vescovo di Beauvais, quest'ultimo rispose: «Non rifiuto di morire con gli altri, ma non posso camminare. Per favore siate gentili abbastanza per portarmi dove volete che io vada». Con queste parole zitti i suoi accusatori, ma non si salvò.

Solo verso la fine delle esecuzioni, qualcuno fu liberato e anche altri riuscirono a scappare, ma al termine della giornata erano state assassinate novantacinque persone, compresi il laico, Charles de la Calmette, conte di Valfons, e il suo confessore, Jean Guilleminet; il superiore generale dei benedettini mauristi, Ambroise Augustine Chevreux, e altri due monaci; Frangois Louis Flébert, confessore di Luigi XVI; Jacques Friteyre-Durvé e altri quattordici gesuiti; e Jacques Galais, che, come unico responsabile degli approvvigionamenti in prigione, passò al "giudice" i trecentoventicinque franchi che doveva a chi forniva il cibo. Tra le vittime c'erano anche tre francescani, un fratello cristiano, trentotto membri del seminario di Saint-Sulpice, sei vicari generali diocesani, tre diaconi, e un accolito. Il massacro continuò durante la notte, senza che le autorità tentassero di porvi fine. Alla prigione di La Force, dove molti aristocratici e alcuni ecclesiastici erano tenuti prigionieri, nessuno sopravvisse per raccontare ciò che era successo.

Anche il seminario lazzarista di Saint-Firmin fu usato come prigione, dove, alle 5 e 30 circa del mattino seguente, il 3 settembre, giunsero i giustizieri. La loro prima vittima fu un sacerdote gesuita, Pierre Guérin. Quando rifiutò di giurare alleanza, fu scaraventato dalla finestra più vicina e pugnalato nel cortile sottostante. Anche suo fratello Robert morì, come altri cinque gesuiti. A Louis Joseph Frangois, superiore del seminario, molto amato a Parigi, fu offerta la possibilità di scappare, ma egli rifiutò di abbandonare i suoi compagni prigionieri; morì, come Ivo Guillon dc Keranrun, vice cancelliere dell'università di Parigi, assieme a tre laici.

Nel complesso, circa millequattrocento persone (metà dei prigionieri detenuti a Parigi) morirono durante i massacri di settembre. 11 decreto di beatificazione per le cento novantuno persone identificate come i Martiri di Settembre fu promulgato 1'1 ottobre 1926. L'Abbaye e La Force non esistono più, Saint-Firmin è stato trasformato in un palazzo di uffici, mentre l'antico convento carmelitano è ora occupato dall'Istituto Cattolico.

All'Abbaye morirono: Daniel André des Pommerayes; Louis Benoist; Antoine du Bonzet; Jean Capeu; Armand Chapt de Rastignac; Claude Fontaine; Pierre Gervais; Santino Huré; Charles Hurtel; Louis Hurtel; Alexandre Lenfant; (?) Laurent; Louis le Danois; Thomas Monsaint; Frangois Pey; Jean Rateau; Marc Royer; Jean Guyard de St-Clair; Jean Simon; Pierre Vitalis.

Nella chiesa dei carmelitani morirono: Vincent Abraham; André Angar; Jean Aubert; Francise Balmain; Jean Bangue; Louis Barreau de la Touche; Louis Barret; Joseph Bécavin; Charles Béraud du Péron; Jacques Bonnand; Louis Boubert; Jean Boucharène du Chaumeils; Jean Bosquet; Jean Burté; Claude Dumas (Cayx); Jean Charton de Millon; Claude Chaudet; Ambroise Chevreux; Nicholas Clairet; Claude Colin; Bernard de Cucsac; Frangoise Dardan; Guillaume Delfaut; Mathurin Deruelle; Gabriel Desprez de Roche; Thomas Dubray; Thomas Dubuisson; Frangoise Dumasrambaud de Calendelle; Henri Ermès; Armand de Foucaul de Pontbriand; jacques Friteye-Durvé; Claude Gagnièrcs des Granges; jacques Galais; Pierre Gauguin; Louis Gaultier; George Girauld; Jean Goizez; André Grasset dc Saint-Sauveur; Pierre Guérin; Jean Guilleminet; Frangois Hébert; Jacques Hourrier; Jean-Baptiste Jannin; Jean Lacan; Pierre Landry; Claude Laporte; Pierre de la Rochefoucauld-Bayers; Frangoise de la Rochefoucauld-Maumont; Jean du Lau; Mathurin La Villccrohain; Robert le Bis; Guillaume Leclercq; Olivier Léfèvre; Urbain Léfèvre; Frangoise Lcfranc; Charles Le Gué; Jacques Lejardinier Deslandes; Jacques Lemcunier; Vincent le Rousseau de Rosencoat; Francise Londiveau; Louis Longuet; Jacques de Lubersac; Henri Luzeau de la Moulonnière; Gaspard Maignien; Jean Marchand; René Massey; Luois Mauduit; Frangoise Méallet de Fargues; Jacques Menuret; Jean Morel; Jean Nativelle; René Nativelle; Auguste Nézel; Antoine Nogier; Joseph Pazery de Thorame; Pierre Ploquin; Jean Pontus; René Poret; Julien Pouain-Delaunay; Pierre Psalmon; Jean Quénau; Etienne de Ravinel; Augustin Robert de Lézardière; Claude Rousseau; Frangois Salins de Niant; Jean Samson; Jean Savine; Jean Séguin; Jean Tessier; Loup Thomas (Bonnotte); Frangoise Vareilhe-Duteil; Pierre Vervier; Charles de la Calmette.

Persero la vita a La Force: Jean Bottex; Michel de Lugardette; Hyacinthe Le Livec de Trésurin. A Saint-Firmin trovarono la morte: André Alricy; René Andrieux; Pierre Balzac; Jean Benoit (Vourlat); Jean Bernard de Cornillet; Michel Binard; Nicholas Bíze; Claude Bochaot; Jean Bonnel de Pradal; Pierre Bonze; Pierre Briquet; Pierre Brisse; Charles Carnus; Jean Caron; Bertrand de Caupenne; Nicholas Colin; Sébastien Desbrielles; Jacques Dufour; Dionysius Duval; Jean Duval; Joseph Falcoz; Gilbert Fautrel; Eustache Félix; Filibert Fougères; Louis Frangois; Pierre Garrigues; Nicholas Gaudreau; Etienne Gillet; Georges Giroust; Joseph Gros; Jean Gruyer; Pierre Guérin du Rocher; Robert Guérin du Rocher; Ivo Guillon de Keranrun; Julien Hédouin; Pierre Hénocq; Eligius Herque (du Roule); Pierre Joret; Gilles Lanchon; Jacques de la Lande; Louis Lanier; Jean de Lavèze-Bellay; Michel Leber; Pierre Le Clercq; Jean Legrand; Jean Le Laisant; Jean Le Maitre; Jean Leroy; Martin Loublier; Claude Marmotamt de Savigny; Claude Mayneaud de Bizefranc; Henri Milet; Frangoise Monnier; Frangoise Mouffle; Joseph Oviefre; Jean Philippot; Claude Pons; Pier Pottier; Jacques Rabé; Pierre Regnet; Ivo Rey de Kervisic; Louis Rigot; Nicholas Roussel; Pierre Saint-James; Jacques Schmid; Jean Seconds; Pierre de Turmenyes; René Urvoy; Charles Véret; Nicholas Verron; Jan de Villette.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Parigi in Francia, passione dei beati martiri Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld, vescovi, e novantatrè compagni43, chierici o religiosi, che, radunati nel convento dei Carmelitani, furono trucidati per Cristo in odio alla religione per essersi rifiutati di prestare l’empio giuramento imposto al clero durante la rivoluzione francese.

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