San Cesario di Arles
Nome: San Cesario di Arles
Titolo: Vescovo
Nascita: 470, Chalons-sur-Saeme, Francia
Morte: 543, Arles, Francia
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Cesario nacque nel 470 a Chalons-sur-Saeme nel regno dei burgundi, in una famiglia gallo-romana. Ricevette una buona educazione in grammatica e retorica da Pomero, un insegnante di origine africana, e decise di diventare prete. A diciotto anni chiese di essere ammesso agli ordini sacri. Due anni dopo aver preso gli ordini minori si ritirò nel monastero di Lérins, famoso per i suoi studi di alto livello. L'abate lo nominò cellerario, ma gli altri monaci lo trovarono troppo scrupoloso, così gli fu consigliato di dedicarsi alla contemplazione e alla penitenza. La sua salute venne compromessa, e fu mandato ad Arles per curarsi.
Era contrario al fatto che i sacerdoti cristiani leggessero autori pagani, anche se egli stesso aveva assorbito la cultura secolare tradizionale che sopravviveva in alcune parti della Gallia nelle famiglie senatoriali. La sua nuova e austera idea era che la cultura cristiana del futuro si sarebbe dovuta basare solamente sul messaggio cristiano: le stesse labbra non potevano pronunciare il nome di Giove e di Cristo.
Il vescovo Eonio, suo simpatizzante, sosteneva il nuovo rigore c trovava interessanti le idee di Cesario. Scrisse all'abate suggerendogli di nominare Cesario vescovo. Fu quindi ordinato diacono e sacerdote e messo a capo del vicino monastero, dove regnava un'atmosfera troppo rilassata. Cesario diede una regola ai suoi monaci, guidandoli per tre anni e facendo fronte ai propri impegni. Prima di morire il vescovo di Arles lo raccomandò come suo successore. Cesario, che aveva allora trentatré anni, per un eccesso di umiltà si nascose tra le tombe, ma fu scovato e dovette accettare l'elezione a vescovo. Rimase a capo della comunità di Arles per trent'anni.
Condusse un'esistenza sobria e pia, fu un capo spirituale molto serio, responsabile e si impegnò in particolare a codificare le strutture del culto e della penitenza, così da non lasciare margini d'errore. Riorganizzò la sua diocesi secondo linee quasi monastiche: regolamentò il canto dell'Ufficio divino, che ordinò venisse celebrato pubblicamente tutti i giorni, e lo modificò perché fosse accessibile ai laici. Sottolineò l'importanza del canto comunitario e della memorizzazione della Bibbia e volle che i laici fossero coinvolti nell'amministrazione dei fondi della Chiesa. Insegnò ai fedeli a pregare con devozione.
Predicava tutte le domeniche e le festività e spesso anche nei giorni feriali, al mattino e alla sera. Se non poteva farlo di persona, ordinava che fossero lette delle omelie, letture che avvenivano abitualmente dopo il Mattutino e i Vespri.
I suoi discorsi erano semplici e naturali e senza sfoggi di cultura. Si preoccupò molto di inculcare la paura del purgatorio per le colpe veniali e la necessità della penitenza quotidiana per liberarsi dal peccato. Parlava della preghiera, del digiuno, delle elemosine, del perdono, della castità e delle opere buone.
È ricordato come il primo predicatore popolare. I suoi sermoni erano ricchi di allusioni ed esempi comprensibili a tutti e raramente superavano i quindici minuti.
Sottolineava anche l'importanza della partecipazione degna del corpo al culto e si preoccupava che le prediche raggiungessero il maggior numero di persone: «Chiunque entri in possesso di questa raccolta di sermoni, lo prego e lo imploro molto umilmente di leggerla attentamente, e non solo di passarla ad altre persone che la ricopino, ma di assicurarsi che la leggano». Le sue omelie si diffusero ben oltre i confini di Arles: la sua prima Vita dice che furono mandate in Francia (Gallia settentrionale), in Gallia, in Italia, nella penisola iberica e fino a Fulda in Germania. Alcune delle sue opere, attribuite all'epoca ad Agostino, Ambrogio e altri, si diffusero ancora di più.
Cesario non pretendeva di essere un innovatore. Come aveva appreso da Vincenzo di Lérins, il suo scopo era di comunicare «la fede cattolica fissata dai Santi Padri». La cosa più importante era l'istruzione nella «vera fede cattolica, che deve mantenersi ferma e inviolata».
Visitò tutta la sua diocesi, spingendosi anche oltre i suoi confini. Insisteva molto sulla necessità di comunicarsi spesso e in maniera degna: «I buoni cristiani sono quelli che, quando si avvicina una festa maggiore, per essere sicuri di comunicarsi in maniera corretta, rimangono casti con le loro mogli già da diversi giorni prima». Scrisse anche un rigido regolamento per lunghi periodi di continenza. La vita di penitenza era adatta ai laici e prevedeva regole sempre più rigide nel tempo. Chiedeva ai laici di comunicarsi non solo nelle festività maggiori, ma anche per la festa di S. Giovanni Battista e per le memorie dei maggiori santi provenzali. Secondo le opinioni del concilio di quell'epoca, Cesario credeva che alcune colpe, come la falsa testimonianza o l'apostasia, dovessero venire punite con l'allontanamento dalla comunità cristiana, e che potessero venire perdonate solo una volta nella vita.
La sua lista (basata sui dieci comandamenti) delle colpe mortali era molto ampia: sacrilegio (apostasia o pratiche di superstizione), omicidio (tra cui l'aborto), adulterio e concubinato, falsa testimonianza, furto, orgoglio, ira, calunnia, ecc. comprese una serie di quelli che oggi vengono chiamati peccati veniali. I rapporti sessuali tra sposi erano peccato se praticati per il solo piacere personale, anche se la possibilità di concepimento non veniva esclusa; era peccato mortale usare metodi contraccettivi. Fece un elenco dettagliato delle opere buone sufficienti per riparare alle colpe minori: elemosina, visitare gli ammalati e i prigionieri, pregare e digiunare, perdonare i propri nemici. In generale un vescovo era tenuto solamente a incoraggiare la penitenza, ma in alcuni casi, come l'omicidio, la falsa testimonianza o la penitenza inadeguata, poteva pretenderla. Il pentimento era una questione grave e solenne, e Cesario raccomandava spesso di pentirsi prima che fosse troppo tardi, perché l'ostinatezza poteva compromettere le possibilità di salvezza di una persona.
Fondò un monastero per giovani donne e vedove del sud della Gallia che desideravano dedicarsi a Dio, prima ad Aliscamps tra le rovine romane e poi all'interno delle mura della città. Inizialmente il monastero si chiamava S. Giovanni, ma poi divenne S. Cesario, ed egli mise la sorella Cesaria alla sua guida. Si impegnò molto per redigere la regola per le suore: mise in risalto la necessità di una vita di clausura stabile e completa, scrisse una regola per uomini sulla stessa linea e la impose a tutta la diocesi. Quella stessa regola divenne popolare anche altrove.
Era metropolita di un numero di sedi aggiuntive e presiedette diversi sinodi, come ad esempio quello di Orange nel 529. Questo concilio si schierò contro gli eretici che sostenevano la predestinazione di alcune persone alla dannazione eterna. Cesario affermò anche che Dio con la sua grazia ha posto nelle nostre anime il desiderio per la fede e l'amore e che ispira la nostra conversione.
All'epoca Arles era governata da Alarico II, re dei visigoti. Fu detto ad Alarico che Cesario, nato come suddito del re di Burgundia, stava tentando di imporre la sua regola nei territori visigoti. Nel 505 Alarico lo esiliò da Bordeaux, ma quando scoprì che le accuse erano false, lo richiamò e ordinò che gli accusatori fossero lapidati. Per intercessione di Cesario concesse loro salva la vita.
Quando i burgundi occuparono Arles portando nella città molti prigionieri, Cesario portò loro cibo e vestiti attingendo dal tesoro della sua chiesa per aiutarli. Raccolse l'argento e fuse i calici, i turiboli per l'incenso e le patene, facendo osservare che Gesù aveva celebrato la sua ultima cena con piatti di coccio. Dopo la morte del re dei visigoti, Teodorico l'Ostrogoto, re d'Italia, occupò le terre visigote in Linguadoca e fece scortare Cesario fino a Ravenna. I due si resero mutualmente omaggio, poi Teodorico discusse la situazione della sua città con il vescovo e disse che non poteva credere che una persona così buona potesse fare qualcosa di male.
Fece quindi rilasciare Cesario e gli inviò un bacile d'argento, trecento pezzi d'oro e un messaggio che recitava: «Accetta l'offerta del re, tuo figlio, e considerarla un pegno d'amicizia». Cesario vendette il badile per riscattare dei prigionieri.
In seguito si recò a Roma, dove papa S. Simmaco (19 lug.) confermò i diritti metropolitani di Arles, riconobbe Cesario come legato apostolico in Gallia e gli conferì il pallium. Fu il primo vescovo occidentale a riceverlo.
Cesario ritornò ad Arles nel 514. Quando la città cadde sotto il dominio franco nel 536, si ritirò quasi completamente dalla vita pubblica, vivendo nel convento di S. Giovanni.
Fece testamento in favore delle suore della comunità e morì nel 543, la vigilia della festa di S. Agostino.
MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Arles in Provenza, san Cesario, vescovo: dopo aver condotto vita monastica nell’isola di Lérins, fu elevato all’episcopato contro la sua volontà; scrisse e raccolse in un corpo unico sermoni per le festività destinati alla lettura dei sacerdoti, perché fossero loro d’aiuto nella catechesi al popolo; compose inoltre regole sia per gli uomini che per le vergini allo scopo di disciplinarne la vita monastica.
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