San Geremia
Nome: San Geremia
Titolo: Profeta
Nascita: 650 a.C., Anatot, Gerusalemme
Morte: 587 ca. a.C., Egitto
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Il Libro di Geremia è una raccolta di oracoli e prediche, messi insieme non in ordine cronologico e che permette uno sguardo soltanto parziale e incompleto sulla vita del profeta. Geremia è chiamato da Dio stesso a diventare profeta, nonostante la sua obiezione di essere troppo giovane per tale incarico. La sua attività cade in un periodo di rivolgimenti religiosi e politici. Nelle prime visioni profetiche, Geremia vede, durante il periodo di regno di Giosia, avvicinarsi dal nord la sventura, e la simboleggia in una caldaia ribollente. Il profeta stesso è destinato a diventare, nel tempo dell'insicurezza, «una fortezza, una colonna di ferro, un muro di bronzo» (capp. 1-2).
Dopo la conquista del regno del Nord, da parte degli Assiri, nel 711 a.C., anche Giuda, con il re Manasse, era finita sotto l'influenza del re assiro. Contro il culto delle divinità fenice Baal e Asera, introdotto in seguito, Geremia solleva il suo lamento. Dopo la riforma del re di Giuda Giosia, che nel 620 a.C. restaura il culto autentico e lo concentra attorno al tempio di Gerusalemme distruggendo i luoghi di culto straniero, Geremia in un "discorso del tempio" inette in guardia i suoi connazionali, esortandoli a conformare la propria condotta, nei rapporti tra di loro e nel culto a Dio, secondo la volontà di Jahwe. Le acclamazioni del popolo «Ecco il tempio del Signore» sono vane (cap. 7).
Nel 609 a.C. il re Giosia cade in battaglia presso Meghiddo, combattendo contro gli Egiziani, mossisi contro Giuda sotto il loro faraone Lecho come alleati degli Assiri. La politica di successo perseguita da Giuda all'interno del regno e all'estero non è mantenuta. Gli succede il figlio Shallum (loas), che dopo appena tre mesi viene deposto dal faraone. Il nuovo re è un altro figlio di Giosia, Ioiakim.
La scomparsa di Giuda è vista come realizzazione della profezia di un giudizio di punizione di Jahwc. Il profeta di sventura viene cacciato da Anatot, la sua patria. Di Geremia si dice che è «come un agnello mansueto che viene portato al macello». Il profeta si chiede perché agli empi le cose vadano bene e i traditori vivano nell'abbondanza. La risposta è che Jahwe «strapperà dalla loro terra» Giuda e i popoli vicini, ma poi avrà di nuovo misericordia di loro (cap. 11). Geremia stigmatizza la presunzione del popolo di Giuda e i re che siedono sul trono di Davide, dediti, tra l'altro, all'ubriachezza. Nella mano di Jahwe, minaccia Geremia, Israele è come creta in mano al vasaio. La popolazione e la città di Gerusalemme saranno distrutte come una giara di terracotta (capp. 19-21).
Nel libro di Geremia sono state raccolte numerose profezie contro i popoli stranieri. All'inizio del regno di Sedecia, Geremia — in una delle azioni simboliche ricorrenti nei profeti dell'Antico Testamento - si getta un giogo sulle spalle e consiglia ai popoli vicini di riconoscere la sovranità di Babilonia. Contro Geremia si pronuncia il profeta Anania, il quale afferma che gli oggetti di culto rubati nel tempio di Gerusalemme dopo due anni saranno ricondotti al loro posto da Babilonia. Infine, strappa il giogo dalla nuca di Geremia e lo spezza. Secondo il libro di Geremia, Anania muore subito dopo, per aver ingannato il popolo (capp. 27-28).
In una lettera Geremia si rivolge ai deportati invitandoli a costruire case in esilio e a coltivare giardini, a sposarsi e ad avere figli. Dopo settant'anni, il popolo tornerà. Anche se gli Israeliti stanno subendo un destino crudele «Rachele piange i suoi figli e non c'è chi la consoli» — il profeta promette un nuovo patto con Dio. Come segno premonitore di un futuro migliore, il libro di Geremia segnala il fatto che il profeta ha comprato un campo in Anatot, quale gesto di fiducia nella promessa: «In questo paese si tornerà a comprare case, campi e vigne» (capp. 29-32). Il re di Giuda, Sedecia, chiede a Geremia — ora rinchiuso in una cisterna — quale sia la parola di Dio. La risposta è che anch'e-gli sarà trascinato a Babilonia. Geremia a sua volta chiede al re di tirarlo fuori e sistemarlo nell'atrio della prigione, perché nella cisterna non sopravvivrebbe. Il re glielo concede.
Geremia può tornare a parlare al popolo e consiglia di arrendersi al nemico per sfuggire a morte sicura. Per questo il capo dei soldati, d'accordo con il re, getta il profeta in un'altra cisterna piena di fango. Anche da questa prigione Geremia viene liberato, questa volta grazie al-l'intercessione del camerlengo EbedMelech (capp. 36-37). Ciò nonostante, fino alla nuova presa di Gerusalemme da parte dei Babilone-si, nel 586 a.C., Geremia resta in prigione.
In seguito lo si trova nella città distrutta e dopo l'assassinio del governatore Godolia è trascinato in Egitto da un piccolo gruppo in fuga. Con lui parte anche Baruc, che ha annotato in un rotolo le parole del profeta (capp. 38-43).
L'Antico Testamento non parla della morte di Geremia. Secondo la tradizione ebraica del secondo libro dei Maccabei (verso il 100 a.C.), Geremia consegna agli Ebrei condotti nell'esilio babilonese una porzione del fuoco dell'altare degli olocausti, esortandoli a non dimenticare la loro legge e la loro religione di fronte agli idoli d'oro e d'argento della terra d'esilio. Sul monte di Mosè il profeta nasconde la tenda della dimora e l'arca dell'alleanza. Gli oggetti di culto rimarranno colà «fino a quando Dio ricondurrà il suo popolo e gli si mostrerà benevolo» (2 Mac 2,18).
Un secondo libro veterotestamentario tramandato sotto il nome di Geremia è il Libro delle Lamentazioni di Geremia (greco Threnoi, latino Threni o Lamentationes Ieremiae Prophetae), che però non è opera sua. Questa raccolta poetica si occupa della situazione in Giuda tra la prima e la seconda conquista di Gerusalemme. I nemici si fanno beffe della città distrutta: «vedete se c'è un dolore pari al mio...». Non si celebrano più le festività di Sion e il sabato; le porte sono abbattute, i cardini infranti, i profeti non hanno più visioni. Nella sua terribile esperienza, il grande poeta veterotestamentario si trova come prigioniero, circondato da alte mura. Le lamentazioni pongono le domande fondamentali della teodicea e invitano a esaminare la propria condotta e a convertirsi al Signore.
Una Lettera di Geremia è tramandata nella Settanta come unità a sé stante, mentre nella Volgata è stata aggiunta al Libro di Baruc come capitolo sesto, e nella chiesa cattolica, a partire da Tertulliano (160-225), è considerata parte del testo canonico. La lettera si riferisce al passo del libro di Geremia che parla di uno scritto inviato dal profeta agli esiliati in Babilonia (29,1), in cui Geremia mette in guardia i suoi correligionari di fronte all'influsso del culto babilonese e delle divinità straniere.
MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Geremia, profeta, che, al tempo di Ioiakím e Sedecía, re di Giuda, preannunciando la distruzione della Città Santa e la deportazione del popolo, patì molte persecuzioni; per questo la Chiesa ha visto in lui la figura del Cristo sofferente. Predisse, inoltre, il compimento della nuova ed eterna Alleanza in Gesù Cristo, per mezzo del quale il Padre onnipotente avrebbe scritto nel profondo del cuore dei figli di Israele la sua legge, perché egli fosse il loro Dio ed essi suo popolo.
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