San Giuseppe Cafasso
Nome: San Giuseppe Cafasso
Titolo: Sacerdote
Morte: 23 giugno 1860, Torino
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Beatificazione:
1925, Roma, papa Pio XI
Canonizzazione:
1947, Roma, papa Pio XII
Giuseppe Cafasso, amico di S. Giovanni Bosco, era nato a Castelnuovo d'Asti, un grosso borgo di campagna, terzo di quattro figli in una famiglia contadina di discrete condizioni; frequentò la scuola a Chieri, poco distante da Torino, ed entrò nel locale seminario, aperto da pochi anni per volere dell'arcivescovo del capoluogo piemontese. Si distinse come miglior studente del suo corso; fu ordinato prete nel 1833, con una dispensa speciale dell'autorità ecclesiastica, non avendo ancora raggiunto l'età canonica. Trasferitosi poi a Torino per poter continuare gli studi teologici, si sistemò in un alloggio modesto, ma non trovando sufficientemente adeguati i corsi del seminario diocesano e dell'università, si spostò al convitto ecclesiastico, istituto aperto da don Luigi Guala presso la chiesa di S. Francesco d'Assisi, sentendolo più confacente alle sue esigenze. Superò più che brillantemente l'esame diocesano d'ammissione e don Guala subito gli conferì un insegnamento.
Quando don Guala chiese al suo assistente chi avrebbe dovuto scegliere come insegnante, questi rispose: «il piccoletto», alludendo a Giuseppe Cafasso che era piccolo di statura e rachitico. Egli compensava il suo miserevole e disprezzato aspetto fisico con una voce melodica e serena, che don Bosco definiva «la tranquillità indisturbata» e che affascinava chi l'ascoltava. Dimostrò di essere un insegnante nato: non si accontentava di insegnare, voleva educare; mirava non solo a «fornire nozioni» ma a illuminare e dirigere le menti degli studenti. Ben presto si sparse la fama che all'istituto S. Francesco a Torino ci fosse un nuovo insegnante assai bravo. Era ugualmente stimato come predicatore. Una volta disse a don Bosco: «Gesù Cristo, Sapienza infinita, usava parole ed espressioni accessibili a chi lo ascoltava, seguine l'esempio». Si serviva del dono di una predicazione semplice e colloquiale per incoraggiare la speranza e l'umile confidenza in Dio, in contrasto con la dottrina rigorista dei giansenisti, diffusasi nell'Italia settentrionale. Essi insegnavano che anche la più piccola caduta era un peccato grave, che poteva portare alla dannazione eterna. Più tardi il Cafasso scriverà: «Quando confessiamo, nostro Signore ci vuole pieni di pietà e d'amore; tutti quelli che vengono da noi debbono sentire la nostra paternità, senza alcun accenno alla loro personalità o a ciò che hanno commesso. Se respingiamo qualcuno o se un'anima si perde per colpa nostra ce ne sarà chiesto conto».
Nel 1848, alla morte di don Guala, divenne direttore dell'istituto e della chiesa di S. Francesco, compito non facile dovendo prendersi cura di una sessantina di giovani preti di diverse diocesi, con un retroterra culturale e ambientale assai differente e con idee politiche opposte. Quell'anno fu particolarmente turbolento in tutta Europa: uno stato dopo l'altro sperimentava moti rivoluzionari e l'Italia conobbe queste vicissitudini in vista dell'unificazione nazionale, raggiunta nel 1861. Benché non mancassero detrattori, fuori e dentro l'ambiente ecclesiale, Giuseppe con il suo insegnamento, la sua fede luminosa e la sua cura per ognuno, riuscì a tener salda la barra dell'istituto in quei tempi travagliati.
Il suo affetto e la sua attenzione per i preti giovani e inesperti, la sua insistenza sullo spirito mondano come peggior nemico, fecero sì che influenzasse tutto il clero piemontese, e non solo quello, perché il suo ministero raggiunse molte altre persone, suore e laici di ogni classe sociale. Il suo confessionale era molto frequentato: Giuseppe aveva il carisma di un'intuizione particolare nel rapporto con i penitenti. Quando la Compagnia di Gesù era stata soppressa, il santuario di S. Ignazio a Lanzo Torinese, sulle colline vicino alla capitale dei Savoia, era stato preso in carico dall'archidiocesi e don Guala era stato nominato amministratore. Alla morte di costui l'incarico passò al Cafasso, che continuò l'opera del suo predecessore, predicando ai pellegrini e dirigendo esercizi spirituali per clero e laici. Durante la sua amministrazione furono portati a termine i lavori, iniziati da don Guala, di ristrutturazione della foresteria e delle vie di accesso al santuario.
Di tutte le sue attività quella che più colpi l'opinione pubblica fu il suo ministero presso i carcerati: nelle prigioni, dove gli uomini vivevano in condizioni degradanti e disumane, don Cafasso visitava i carcerati, facendo sentire loro affetto e portandoli alla confessione; le esecuzioni erano ancora pubbliche ed egli accompagnò al patibolo oltre sessanta condannati, tra cui famosi briganti e rivoluzionari, che chiamava «santi impiccati». Giovanni Bosco lo incontrò per la prima volta una domenica nell'autunno del 1827, quando era ancora un ragazzo vivace mentre Giuseppe era già sacerdote, e tornato a casa annunciò: «L'ho visto! Gli ho parlato!». «Chi hai visto?» gli chiese la madre. «Giuseppe Cafasso, e ti assicuro che è un santo.» Quattordici anni dopo don Bosco, nella chiesa di S. Francesco a Torino, celebrava la sua prima Messa, entrando poi a far parte dell'istituto, studiando sotto la direzione del Cafasso, condividendo molti dei suoi ideali. Fu egli a introdurlo nell'universo dei quartieri poveri e delle carceri di Torino, aiutandolo a scoprire la sua vocazione di apostolo dei giovani. Giovanni Cagliero, salesiano, scrive: «Noi amiamo e riveriamo il nostro caro padre e fondatore don Bosco, non di meno amiamo Giuseppe Cafasso, per oltre vent'anni maestro, consigliere e guida, nelle vicende spirituali e nelle iniziative, di don Bosco; oso dire che la bontà, i risultati, la saggezza di don Bosco sono la gloria di don Cafasso. Fu grazie a lui che don Bosco si stabilì a Torino, che i giovani si riunirono nel primo oratorio salesiano; l'obbedienza, l'amore e la saggezza che ha insegnato hanno portato frutti in migliaia di giovani in Europa, Asia e Africa, ragazzi che oggi sono ben preparati per la vita nella Chiesa di Dio e nella società degli uomini».
L'insegnamento di don Cafasso influenzò anche altri, oltre a don Bosco: la marchesa Giulietta Falletti di Barolo, che fondò una dozzina di istituti di carità; don Giovanni Cocchi, fondatore di un istituto per artigiani e altre opere di carità a Torino; padre Domenico Sartoris, il fondatore delle Figlie di S. Chiara; il 13. Clemente Marchisio (20 set.), fondatore delle Figlie di S. Giuseppe, e molti altri fondatori di istituzioni caritative. Giuseppe Cafasso morì il 23 giugno 1860; don Bosco fece l'elogio al funerale e in seguito ne scrisse la biografia. Fu canonizzato da papa Pio XII nel 1947.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Torino, san Giuseppe Cafasso, sacerdote, che si dedicò alla formazione spirituale e culturale dei futuri sacerdoti e a riconciliare a Dio i poveri carcerati e i condannati a morte.
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