San Macario il Grande
Nome: San Macario il Grande
Titolo: Abate di Scete
Nascita: 300, Alto Egitto
Morte: 390, Scete
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Macario, detto anche l'Egiziano o il Grande per distinguerlo da Macario d'Alessandria (2 gen.), nacque nell'Alto Egitto e passò la sua giovinezza pascolando bestiame; seguendo poi quella chiamata alla vita ascetica che andava diffondendosi sempre più, si ritirò in una cella dedicandosi alla preghiera e a semplici lavori manuali, come la fabbricazione di ceste di giunco.
Il racconto di come se ne andò nel deserto di Scete, a sud ovest del Delta del Nilo (uno dei tre grandi luoghi di raccolta degli eremiti), è contenuto nei "detti" dei Padri del deserto, a lui stesso attribuito: «Quando ero giovane e vivevo da solo nella mia cella, mi presero contro la mia volontà e mi fecero chierico del villaggio. Dato che non volevo restare là fuggii in un altro paese, dove un pio laico mi aiutava vendendo il mio lavoro; accadde però che una giovane ragazza si trovò in difficoltà per essere rimasta incinta e, quando i genitori le chiesero chi fosse stato il responsabile, lei rispose: "Quell'eremita ha commesso questo crimine"». I suoi parenti lo picchiarono e lo costrinsero a provvedere a lei. «Cosi io mi dissi: bene Macario, ora che hai una moglie, per nutrirla dovrai lavorare ancora più sodo. Così lavorai giorno e notte per mantenerla, ma quando venne il tempo del parto fu preda di dolorosissime doglie per giorni e giorni, ma non riusciva a partorire il figlio. Quando le chiesero spiegazioni rispose: "I lo dato la colpa del crimine a quell'eremita, che invece era innocente; infatti colui che mi ha messa in questa condizione è l'uomo che vive alla porta accanto". Allora colui che mi aveva aiutato, sentendo queste notizie, pieno di gioia, venne da me a riferirmi tutto e a chiedermi di perdonarli tutti. Sentite queste cose e temendo che la gente venisse a disturbarmi, raccolsi in fretta le mie cose e giunsi in questo posto: questa è la ragione della mia venuta in questa parte del mondo».
Che i particolari del racconto perennemente ammonitore siano veri o meno, mostrano comunque la carità, l'umiltà e l'accettazione dell'ingiustizia da parte di Macario, il che evidenzia anche a quale alto livello di apatheia, o pace dell'anima — aspirazione di tutti gli eremiti del deserto — fosse già giunto. Andò a Scete verso il 330 e passò là i successivi sessanta anni, divenendo l'anziano più riverito di tutta la comunità e il principale organizzatore della vita monastica in quel luogo. La forma di monachesimo anacoretico praticato a Scete era basata sui "detti" dei Padri antichi e non su una regola scritta, come avveniva invece nelle comunità monastiche derivanti da Pacomio (9 mag.). Molti di questi detti, nella raccolta fatta intorno al 500 (Apophthegmata Patrum), vengono attribuiti a Macario, e alcuni di essi narrano di incontri con il diavolo e i demoni, dai quali Macario, soprattutto grazie all'umiltà, usciva vittorioso, altri invece sono semplici e brevi consigli: «Se desiderando correggere un altro ti fai spingere all'ira, tu gratifichi la tua stessa passione. Dunque non perdere te stesso per salvare un altro».
Era certamente una grande guida spirituale e, a parte i "detti", gli viene attribuita una vastissima letteratura, che consiste in cinquanta omelie e nella Grande Lettera. Attingendo principalmente al pensiero di Gregorio di Nissa (10 gen.), in particolare al suo De Institut° Christian°, le prime mostrano la capacità divulgativa di Macario, piuttosto che una vera originalità di pensiero, e rendono fruibili le complesse teorie mistiche e spirituali di Gregorio anche a un pubblico meno colto. Macario aggiunse anche direttive più precise sul modo di organizzare una comunità monastica o eremitica, che doveva essere basata sul mutuo soccorso e sul lavoro manuale, che non poteva venire sottovalutato, essendo necessario al sostegno della comunità, per permettere ad altri di continuare a condurre una vita di preghiera. Egli deduce il concetto di necessità e dignità del lavoro dalla meditazione sull'episodio evangelico di Marta e Maria, passando direttamente al significato del gesto di Cristo che lava i piedi ai discepoli, come dimostrazione della preminenza del lavoro quale canale di servizio agli altri.
I temi su cui si sofferma sono la mistica della luce, la necessità di pregare costantemente e di progredire nella vita spirituale. Macario è tutto intento a dimostrare che gli alti ideali del monachesimo possono essere raggiunti a patto che si abbia una fede fondata sulla Scrittura e che ci si ponga generosamente l'obiettivo di mettere in pratica ciò che le Scritture stesse propongono, confidando nell'opera divina piuttosto che nelle proprie forze. Egli coniuga la saggezza popolare dell'esperienza collettiva del monachesimo primitivo con il fermento intellettuale fornito dal pensiero originale di Gregorio di Nissa; per un certo periodo si era anche creduto che le opere attribuite a Macario fossero antecedenti e avessero influenzato il De Instituto di Gregorio, mentre ora quasi tutti gli studiosi le considerano dipendenti da quest'ultima; esse influenzarono invece gli scritti di Giovanni Cassiano (23 lug.) — che aveva trascorso un periodo come monaco in Egitto — e quindi, indirettamente, la genesi del monachesimo occidentale. Sono poche le notizie affidabili sui sessant'anni di permanenza a Scete; si dice che fosse discepolo di Antonio Abate (17 gen.): in effetti uno dei discepoli a cui Antonio chiese di seppellirlo si chiamava proprio Macario. Si potrebbe quindi trattare proprio del nostro Macario, che probabilmente rese spesso visita al grande patriarca, il cui rifugio era a quindici giorni di viaggio da Scete. Macario viene commemorato nel canone della Messa nei riti copto e armeno.
MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Macario Magno, sacerdote e abate del monastero di Scete in Egitto, che, morto al mondo e a se stesso, viveva solo per Dio, come insegnava anche ai suoi monaci.
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