San Massimo il Confessore
Nome: San Massimo il Confessore
Titolo: Teologo bizantino
Nascita: 580 circa, Costantinopoli, Turchia
Morte: 13 agosto 662, Schemaris, Lazica
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Giovanni Scoto Eriugena, egli stesso grande filosofo, definisce Massimo «il filosofo divino, il sapiente, l'insegnante più illustre». Egli è sicuramente un teologo di grande rilievo e interesse, ma le sue idee sono rimaste quasi ignote, fuori dalla cerchia degli studiosi, per la difficoltà dei concetti e la dispersione in ragionamenti complessi e tortuosi. Per comprendere gli eventi centrali della sua biografia bisogna conoscere alcune controversie fondamentali della storia della Chiesa e le loro ripercussioni ecclesiastiche, teologiche e filosofiche.
Le nozioni, infatti, di "energia", "natura" e "volontà" o altre, presenti nella fisica, nella psicologia e nella metafisica del vi' secolo, ma anche la comprensione di cosa lo stesso Aristotele avesse inteso con tali termini, sono oggi cambiate completamente e il loro uso senza contestualizzazione porterebbe inevitabilmente a incomprensioni. Il riassunto qui di seguito, tuttavia, sarà necessariamente riduttivo.
Massimo nacque da una famiglia aristocratica bizantina nel 580 circa, probabilmente a Costantinopoli. L'imperatore Eraclio lo nominò suo segretario, ma Massimo, dopo poco, diede le dimissioni per divenire monaco, e poi abate, del monastero di Cbrysopolis (Scutari), dove scrisse alcuni trattati. I persiani invasero il paese nel 626, ed egli dovette fuggire ad Alessandria d'Egitto, dove compose la maggior parte dei suoi scritti. Era un difensore della dottrina delle due nature di Cristo, sancita dal concilio di Calcedonia, contro il monotelismo, un'eresia con radici politico-religiose sorta di fronte alle invasioni persiane e musulmane e tesa a riunire i cristiani mediante un compromesso dottrinale tra monofisiti e calcedonesi.
Molto in sintesi, i monofisiti sostenevano che vi fosse una sola natura (divina) nella persona del Figlio incarnato, mentre i difisiti sostenevano che ve ne fossero due, la divina e l'umana. I sostenitori del monotelismo, invece, ammettevano due nature in Cristo ma una volontà e un'azione unica. Questa formula di compromesso fu il frutto di alcuni incontri dell'imperatore Eraclio con i capi monofisiti nel 624; essa pareva appoggiarsi su dei precedenti ortodossi, era sostenuta da importanti ecclesiastici come il patriarca Sergio di Costantinopoli, il vescovo Teodoro di Pharan (in Arabia) e il patriarca Ciro di Alessandria, e si dimostrò molto utile per riconciliare i monofisiti. Raggiunse la sua espressione migliore in nove proposizioni di un Patto (o "Formula di unione") proclamato solennemente ad Alessandria il 3 giugno 633: l'unico e medesimo Cristo opera in maniera umana e divina «con una sola energia teandrica».
S. Sofronio (11 mar.), patriarca di Gerusalemme, rigettò risolutamente la formula e asserì nuovamente l'esistenza di due energie in Cristo, perché l'energia è direttamente legata alla natura (cfr. Aristotele). Sofronio e Sergio discussero e trovarono un accordo ma poi lo disconobbero. Modifiche non sottili emergevano da quelle, apparentemente sottili, apportate alla terminologia chiave. Nel 634 Sergio chiese l'approvazione del papa, papa Onorio (in due lettere che fanno riferimento a un solo volere, una voluntas, in Cristo) parve essere d'accordo con il Patto e con uno scritto del patriarca che parlava della «energia operante attuale dell'unico Cristo agente». Parlando di "una volontà", Onorio pare che intendesse riferirsi a "un atto" della volontà umana di Cristo, specifico e determinato solo dalla volontà divina, ma naturalmente le diverse fazioni riconobbero la propria posizione nella sua ambigua terminologia (e, ancora oggi, solo persone con medesime idee e impostazione filosofica riescono ad accordarsi sul significato preciso dei suoi scritti).
Nel 638 Eraclio pubblicò un nuovo editto, l'Ekthesis, in cui si sosteneva che l'unicità della volontà in Cristo fosse un fondamentale dato dottrinale. Forse faceva riferimento all'unico atto volitivo di Cristo piuttosto che alla volontà intesa come facoltà, ma ancora una volta il significato recepito dipese dall'orientamento del lettore.
La Chiesa orientale accettò la singola volontà in occasione di due concili a Costantinopoli (638 e 639) e gli imperatori Eraclio e Costante II restarono apparentemente fedeli al monotelismo.
Sofronio morì nel 638 e Massimo ne prese il posto di principale difensore dell'ortodossia. Non ritenne che Onorio avesse davvero sostenuto idee monotelite e lo difese come ortodosso; valutando insoddisfacenti alcuni punti della questione, la prese in esame globalmente in maniera prudente e, a quanto pare, troppo intellettualmente sofisticata.
Una disputa con Massimo a Cartagine nel 645, portò Pirro (temporaneamente deposto perché monotelita), successore di Sergio nella sede di Costantinopoli, ad abiurare il monotelismo ma successivamente, a Ravenna, egli rinnegò la fede e si schierò ancora contro il monaco. Nel 648 l'imperatore Costante abrogò l'Ekthesis e cercò un nuovo compromesso con un decreto, il Typos, che venne considerato da Massimo ancora essenzialmente monotelita.
Il futuro santo ottenne che diversi sinodi africani rigettassero molti elementi dottrinali del monotelitismo, e nel 649 andò a Roma contribuendo ad assicurarne la condanna del papa e del concilio Lateranense, ma l'imperatore si indispettì di tutte quelle iniziative autonome, che trovava fastidiose, politicamente compromettenti e pericolose; nel 653 Costante («odioso a se stesso e all'intera umanità», come dice Gibbon) fece arrestare a Roma papa S. Martino I (13 apr.) e lo mandò in esilio in Crimea, dove questi morì di fame. Poi convocò l'erudito Massimo a un incontro nella capitale e, come spesso accade, questa convocazione in realtà significò l'arresto da parte della polizia imperiale, la conduzione sotto scorta a Roma e il processo per cospirazione; gli fu data la possibilità di accettare la formula imperiale come già aveva fatto la Chiesa di Costantinopoli, ma Massimo rifiutò. Amico dell'esarca Gregorio di Cartagine, che si era dichiarato antiimperatore, il monaco fu accusato di alto tradimento ed esiliato a Bizya, in Tracia, dove patì freddo e fame.
Dopo pochi mesi il vescovo Teodosio di Cesarea arrivò in Bitinia con una commissione per iniziare un dibattito teologico d'accusa. Massimo difese con tale eloquenza la teoria delle due nature da convincere, pare, Teodosio, il quale ritrattò la semi eresia imperiale (con una solenne dichiarazione di fronte al Vangelo, la croce e un'immagine di Maria) e fu mosso a pietà. Diede al confessore denaro e abiti (che i vescovi locali subito confiscarono) e Massimo fu mandato in un monastero. Dopo poco Teodosio gli fece visita con un'altra delegazione e un'offerta di onori imperiali se avesse avallato le posizioni di Costante. Massimo gli ricordò la sua solenne conversione di cuore e di pensiero, ma Teodosio rispose: «Mettiti nella mia posizione: prova tu a dirlo all'imperatore!».
Massimo però non si fece convincere; gli vennero confiscati i suoi pochi beni e il giorno seguente venne portato a Perberis, dove i suoi amici e sostenitori, Anastasio abate e Anastasio l'apocrisario, erano già stati condotti. Rimase là per sei duri anni.
Nel 661 venne nuovamente portato a Costantinopoli, con i suoi due compagni, e fu torturato, frustato e, pare, mutilato della lingua e della mano destra, per essere sicuri che non potesse più né parlare né scrivere. Massimo fu poi esposto in ognuno dei dodici quartieri della città e i suoi compagni ricevettero lo stesso trattamento, che non era per nulla inusuale durante il regno di Costante (che nominò il fratello diacono, per eliminarlo dalla successione al trono, e poi lo uccise; nel 668 fu a sua volta assassinato nel bagno da un servitore). Massimo venne nuovamente esiliato, questa volta nel Caucaso (pare a Skhemaris, vicino a Batumi, sul Mar Nero), e li morì poche settimane dopo.
I successori di Onorio condannarono il monotelismo e nel 680 il concilio ecumenico Costantinopolitano VI proclamò inequivocabilmente l'esistenza di due volontà, una divina e una umana, in Cristo. Papa Onorio venne censurato.
Massimo ebbe non solo una parte attiva all'interno delle controversie, ma fu anche uno scrittore di numerose opere sulla liturgia (la Mystagogia, un trattato mistico sulla natura "cosmica" della liturgia in un'area rituale celeste); sull'esegesi (l'Ambiguorum liber, su Gregorio di Nazianzo e contro Origene; Quaestiones ad Thalassium, su alcuni passi della Scrittura); sulla vita spirituale (il Liber Asceticus e i 400 Capita de Caritate); e di teologia (una serie di opere dottrinali contro i monofisiti e i monoteliti; parafrasi dello Pseudo-Dionigi).
Massimo venne chiamato il Confessore per la difesa della dottrina cristiana ortodossa e per lo zelante supporto all'autorità del vescovo di Roma. Anche in Oriente, comunque, è sempre stato tenuto in grande considerazione e può venire considerato essenzialmente un pensatore orientale.
Il retroterra culturale del quale sono intrisi i suoi scritti è affascinante tanto quanto lo sono gli scritti stessi. Ha subito diverse influenze: dalle fonti siriache e rabbiniche ai racconti familiari ai Padri della Chiesa, fino alla nozione neoplatonica del ritorno perpetuo alla natura divina. Il complesso principale del pensiero dogmatico-ascetico di Massimo può essere definito come teologia mistica. Egli considera la storia universale come una successione di illuminazione cosmica, oscuramento e successiva illuminazione redentrice.
Lo stato originario dell'uomo era stabile ed equilibrato, di natura incorruttibile e con i sensi posti sotto il controllo della ragione. Attraverso la ricerca del piacere gli uomini hanno annullato la supremazia della ragione e si sono sottomessi alle passioni, ed è in questa caduta dell'ordine originale che la luce è stata oscurata e il male è entrato nel mondo. Gesù Cristo, il Verbo, è comparso tra le tenebre della mente e dell'esistenza umana per illuminarla e santificarla e restaurare l'equilibrio tra ragione e impulso. Egli offre ora all'umanità il potere di condurre una vita virtuosa, d'amore, che culminerà nella luce piena dell'unione con Dio.
Un aspetto importante dell'opera di Massimo, ma che non può venire adeguatamente trattato qui, è la sua visione "dinamica" dello sviluppo umano e di un universo costantemente ricreato; nozione che, pur all'interno di un pensiero che riconosce uno spazio all'ordinamento gerarchico, mette in discussione non solo i governi tirannici ma anche molte forme di costrizione. Alcuni commentatori hanno affermato che Massimo è molto vicino ad affermare che conoscenza ed esistenza coincidano, e cioè che conoscere Dio sia, in un certo senso, essere Dio, ma questo "in un certo senso" è fondamentale: fu proprio questo il nucleo, in altri contesti, di tutti gli ardori, le confusioni e le brutalità bizantine. Forse il modo migliore, in realtà l'unico, per apprezzare ciò che Massimo riteneva così importante è analizzare le sue opere e decidere in maniera autonoma che cosa intenda con le affermazioni: «Vi è una sola energia di Dio e dei santi» e «Siamo resi dèi, e figli, corpi, membra, parti di Dio».
MARTIROLOGIO ROMANO. Nella fortezza di Schemaris presso la riva del fiume Tzkhenis Dsqali sulle montagne del Caucaso, transito di san Massimo il Confessore, abate di Crisopoli vicino a Costantinopoli: insigne per dottrina e zelo per la verità cattolica, che per avere strenuamente combattuto contro l’eresia monotelita subì dall’imperatore eretico Costante l’amputazione della mano destra; insieme a due discepoli, entrambi di nome Anastasio, fu poi relegato, dopo un duro carcere e numerose torture, nella regione di Lesghistan, dove rese lo spirito a Dio.
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