Pietro Favre era il più anziano dei compagni di
S. Tgnazio di Loyola; Ignazio lo stimava al pari di
S. Francesco Saverio e fu il primo gesuita a comprendere il significato profondo della Riforma protestante. Era un savoiardo, nato da famiglia contadina nel 1506. Quando era ancora un pastorello desiderava ardentemente studiare e alla fine ci riuscì, prima con un prete a Thònes, poi in un istituto locale. Nel 1525 andò a Parigi ed entrò nel collegio di S. Barbara. Abitava insieme a uno studente della Navarra, Francesco Saverio; poi incontrò un altro studente di Salamanca, Ignazio di Loyola, e fra i tre si stabilì una salda amicizia. Nel 1530 Favre conseguì la laurea, lo stesso giorno di Saverio, ma impiegò un certo tempo a decidersi per la professione. Lo attiravano, via via, la medicina, gli studi giuridici, l'insegnamento. Alla fine decise di seguire Ignazio. Fu ordinato prete nel 1534 e il 15 agosto dello stesso anno celebrava a Montmartre la Messa, nella quale i primi sette gesuiti pronunciarono i voti, promettendo povertà, castità, un pellegrinaggio a Gerusalemme, se possibile, e una vita spesa nel servizio apostolico. Egli era il responsabile del piccolo gruppo che all'inizio del 1537 si incontrò con Ignazio a Venezia per constatare tristemente che la guerra con la Turchia impediva loro di partire come missionari per la Terra Santa. Alla fine dell'anno Favre accompagnò Ignazio e Laínez a Roma, dove ricevettero l'incarico di predicare le missioni. Per un certo periodo fu anche professore all'università.
Quando l'imperatore Carlo V indisse una serie di conferenze, o "diete", di capi cattolici e protestanti per porre fine ai tumulti religiosi in Germania, papa Paolo III designò Favre come membro della dieta di Worms: era il 1540. Dopo il fallimento di questo incontro partecipò anche alla dieta di Ratisbona (Regensburg), pure infruttuosa, l'anno seguente. Favre giunse alla conclusione che la Germania non aveva bisogno di discussioni con i protestanti, ma di una riforma della vita del clero e dei laici. Le sue idee avrebbero appoggiato la tesi, ora corrente, che le due riforme, protestante e cattolica, erano in gran parte due aspetti di un simile tentativo di ricristianizzare, di ammaestrare compiutamente e anche di istruire un'Europa incolta e convertita solo a metà. Favre rimase colpito dall'apatia e dai cattivi costumi del clero e del popolo e si diede a predicare a Spira, Regensburg e Magonza. In quest'ultima città Pietro Canisio, ancora laico, fece gli esercizi spirituali sotto la sua direzione e si fece gesuita. Favre ebbe grande successo a Colonia, dove l'arcivescovo Herman von Wied era passato al protestantesimo, e contribuì a fondare in città la prima residenza dei gesuiti. Poi si recò in Portogallo e in Spagna. In viaggio, mentre attraversava la Francia, fu messo in carcere per sette giorni; allora fece voto di non accettare offerte per messe, o prediche, tutte le volte che avesse potuto rinunciarvi senza fare torto ad altri. Predicò ritiri a sacerdoti e laici in Spagna e altrove. Si serviva degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, che tradusse in latino per i certosini di Colonia. In Spagna, fra coloro sui quali Favre ebbe una influenza decisiva per la loro vita, ci fu Francesco Borgia, allora duca di Gandia.
Papa Paolo III voleva Favre come suo teologo al Concilio di Trento. Pietro era risoluto a dare l'obbedienza, confermata anche dalla domanda dell'arcivescovo di Magonza, che gli chiedeva di accompagnarlo e dalla convocazione del papa nel 1546. Ma era sofferente, l'estate era molto calda; il viaggio e la fatica della sua attività lo avevano prostrato. Morì tra le braccia di Ignazio, poco dopo il suo arrivo a Roma.
Nel suo Memoriale Favre ha lasciato un resoconto dettagliato, quasi giornaliero, della sua vita spirituale per un lungo periodo. Ecco un'annotazione caratteristica: «Un giorno andai al palazzo per ascoltare la predica nella cappella del principe. Il portinaio non mi conosceva e non mi lasciò entrare. Mi fermai fuori e cominciai a considerare quante volte avevo consentito alla mia anima di intrattenersi in pensieri vani e immaginazioni cattive, rifiutando l'ingresso a Gesù, che bussava alla porta. Riflettei su come il mondo Io accoglie male, dovunque. Pregai per me e per il portinaio, affinché il Signore non ci lasciasse aspettare a lungo in purgatorio prima di ammetterci in cielo. Feci anche altre buone riflessioni in quel momento e provai molta gratitudine per il portinaio, che mi aveva suscitato questi pensieri di pietà e compunzione». Pietro Favre aveva quella che oggi si chiamerebbe una mentalità ecumenica ed era contrario a usare qualsiasi forma di costrizione nel trattare con i protestanti. Aveva poca fiducia nelle diete e nelle conferenze ufficiali ma, se necessario, era pronto a incontrare oppositori come Bucero e Melantone per discutere faccia a faccia. Confrontato con l'intransigenza di quei tempi, il suo era un atteggiamento conciliante; sentiva che era molto più importante cambiare il cuore delle persone, far sì che si ravvedessero, condurli a Cristo e alla Chiesa: «È necessario» scriveva «per chiunque voglia aiutare gli eretici nell'epoca attuale, nutrire per loro grande benevolenza e amarli sinceramente, mettendo da parte tutti i pensieri e i sentimenti volti a screditarli. Si deve anche cercare di guadagnarsi il loro favore e la loro simpatia con conversazioni e discussioni amichevoli, avendo cura di evitare tutti i temi controversi che porterebbero a litigi e reciproche recriminazioni; il nostro incontro si dovrebbe poggiare sulle cose che ci uniscono, non su quelle che dividono».
Un contemporaneo di Pietro Favre disse che «i suoi modi amabili e cortesi gli procuravano la benevolenza e il consenso di tutti e guadagnavano quanti lo incontravano all'amore di Dio. Quando parlava delle cose divine pareva che avesse sulla lingua le chiavi dei cuori degli uomini, tanto riusciva a commuoverli e ad attirar-li». Il suo culto fu confermato nel 1872.
MARTIROLOGIO ROMANO.
A Roma, beato Pietro Favre, sacerdote, che, primo dei membri della Compagnia di Gesù, affrontò onerosi compiti in diverse parti d’Europa e morì a Roma mentre partiva per il Concilio di Trento.