Benedetto XIV lo paragonò a san Carlo Borromeo e lo definì «instancabile messaggero d'amore». Eppure Turibio, nacque in Spagna nel 1538, e nel 1579 era ancora un laico. Filippo II, tuttavia, sapeva che nel Nuovo Mondo gli Indios erano spesso sfruttati fino a morte e volle un cambiamento. Inizialmente Turibio resistette, ma poi accettò e venne nominato arcivescovo di Lima.
Coscienziosamente, prima di partire, studiò accuratamente i problemi da affrontare. La realtà che gli si presentò nel 1581 era drammatica: la popolazione autoctona era ridotta in condizioni di impoverimento materiale, culturale e umano, mentre i discendenti dei primi conquistatori erano gelosi dei loro privilegi.
Turibio, tuttavia, aveva il temperamento del grande riformatore. Anzitutto, nutriva grande amore e rispetto per gli Indios. Per questo studiò la loro lingua, il quéchua, e impose ai sacerdoti in cura d'anime di studiarla. Convocò, poi, un Concilio generale per l'America Latina a Lima, due Concili provinciali e dodici Sinodi diocesani. Queste riunioni gli servivano per riformare l’amministrazione e i costumi, favorire e coordinare lo scambio di esperienze missionarie e pastorali. L'arcivescovo poi fu quasi sempre in visita nella sua vastissima diocesi.
Fondò il seminario di Lima, fece pubblicare un catechismo in lingua quéchua e raccomandò ai parroci di preoccuparsi perché le case degli Indios avessero tavole per mangiare e letti per dormire. Turibio scrisse anche un "Libro de las visitas", che rivelava una mente pianificatrice di ampie vedute. Perfino le note più brevi testimoniano l'ardente amore del padre per i figli.
Sfinito dai viaggi e dagli altri impegni del governo pastorale, Turibio morì nel 1606.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Lima, nel Perù, san Turibio Vescovo, per la cui virtù si propagò in América la fede e la disciplina ecclesiastica.