Sant' Oliviero Plunkett
Nome: Sant' Oliviero Plunkett
Titolo: Vescovo e martire
Nome di battesimo: Oileabhéar Pluincéad
Morte: 1 luglio 1681, Londra, Inghilterra
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Beatificazione:
23 maggio 1920, Roma, papa Benedetto XV
Canonizzazione:
10 ottobre 1975, Roma, papa Paolo VI
Oliviero Plunkett nacque l'1 novembre 1625 a Loughcrew nella contea di Meath, in Irlanda, ed era imparentato, attraverso la madre, Tommasina Dillon, con i conti di Fingall e di Roscommon, mentre il padre, Giovanni, proveniva da una famiglia benestante di proprietari terrieri. Si sa pochissimo dei primi anni di vita di Oliviero, tranne il fatto che studiò privatamente presso un cugino cistercense, Patrizio Plunkett, fratello del conte di Fingall, abate di S. Maria, a Dublino, poi vescovo di Ardagh e di Meath.
Questo cugino e altri membri della famiglia di Oliviero svolsero un ruolo importante nella Confederazione di Kilkenny, che guidò la grande rivolta irlandese del 1641; Oliviero non fu direttamente coinvolto, ma, frequentando i circoli confederati, incontrò Pier Francesco Scarampi, un sacerdote oratoriano inviato dal papa come proprio rappresentante alla Confederazione. Scarampi tornò a Roma nel 1647, e Oliviero lo seguì per studiare in vista del sacerdozio.
Da una lettera scritta dopo la morte di Scarampi, causata dalla peste (contratta mentre svolgeva il suo ministero tra persone che vivevano in quarantena), è chiaro che Oliviero stimava molto il sacerdote italiano, che lo aveva aiutato spiritualmente e finanziariamente durante i primi anni trascorsi a Roma.
Terminati gli studi al collegio irlandese, Oliviero fu ordinato sacerdote nel 1654, chiese di essere sciolto dal giuramento, fatto quando era studente, di tornare in Irlanda subito dopo l'ordinazione e dimorò per tre anni presso i cappellani di S. Girolamo della Carità, studiando diritto canonico e civile; nel 1657 ricevette l'incarico di conferenziere in teologia e apologetica al Collegio De Propaganda Fide; fu nominato anche consultore della S. Congregazione dell'Indice.
Conservò il suo posto al De Propaganda Fide finché fu nominato arcivescovo di Armagh e primate di Irlanda nel 1669; sembra che tale nomina sia stata il risultato dell'intervento personale del pontefice, Clemente 1X, anche se, in una lettera ai cardinali del De Propaganda Fide, Oliviero affermò che «desiderava ritornare nel suo paese al servizio delle anime», chiedendo di diventare arcivescovo di Armagh: fu consacrato a Gand e raggiunse la sua diocesi nel marzo 1670.
Il suo arrivo coincise con un periodo di relativa calma per la Chiesa in Irlanda, tuttavia il nuovo vescovo ritenne meglio, all'inizio, continuare a comportarsi da laico con lo pseudonimo di capitano Brown, e portare con sé spada e pistole.
Ammirava la fede del suo popolo: «quello che mi fa più piacere è scoprire in questo popolo una tale devozione, pietà e costanza nella fede da riuscire a sopportare la sofferenza al limite della sopportazione umana», ma c'era ancora molto lavoro da fare per compensare gli effetti della grave persecuzione che seguì il fallimento della rivolta. Mancavano i sacerdoti e molti di quelli che erano stati ordinati non erano istruiti adeguatamente; molte migliaia di persone non avevano ricevuto la confermazione; da molto tempo esisteva un conflitto tra il clero secolare e religioso e tra differenti ordini di frati; inoltre l'autorità di alcuni vescovi era messa in dubbio.
La nomina di un viceré più disponibile e tollerante, nel maggio 1670, permise a Oliviero di muoversi liberamente per il paese, quindi, con parole sue, «spiegò le vele al vento favorevole». Nel 1670 tenne diversi sinodi diocesani, organizzò un convegno episcopale a Dublino, amministrò la confermazione a circa diecimila persone, indisse un sinodo provinciale, visitò sei diocesi, e aprì alcune scuole a Drogheda, affidandone la gestione ai gesuiti. Continuò a svolgere questa serie di occupazioni nei due anni successivi: svolse il suo ministero pastorale instancabilmente, oltre a trovare il tempo di pubblicare un libro, Jus primatiale, per definire la sua posizione nella controversia con l'arcivescovo di Dublino sul diritto di supremazia in quel paese.
Nel 1673, il parlamento inglese obbligò Carlo II ad adottare una politica più rigorosa contro i cattolici, perciò furono pubblicati alcuni editti in Irlanda, che bandivano i vescovi e tutti i religiosi. A Natale, i vescovi erano già tornati a nascondersi e le scuole di Drogheda erano state chiuse. La situazione rimase invariata per circa sette mesi, ma anche quando cessò il pericolo immediato, la libertà d'azione non fu più come prima. In una lettera indirizzata a Roma, Oliviero paragonò le incertezze e i pericoli di quel tempo alla situazione della Chiesa sotto gli imperatori romani; sperava che la Chiesa potesse diventare «gloriosa e ricca, grazie alla sofferenza e al martirio dei popoli settentrionali», ed era sicuro che i vescovi irlandesi non si sarebbero dimostrati "mercenari": a meno che non fossero stati trascinati via con la violenza, non avrebbero abbandonato «né gli agnelli, né le pecore».
Dalla metà del 1675 in poi, sembra che si sia nascosto presso alcuni parenti e abbia tentato di nuovo di portare ordine nella Chiesa d'Irlanda. Nel 1678 tenne un sinodo provinciale e iniziò un'altra visita diocesana, che dovette interrompere quando le false rivelazioni della "congiura papale" provocarono nuove persecuzioni.
Nel 1679 fu posta una taglia di dieci sterline su tutti i vescovi irlandesi, e Oliviero si nascose nuovamente; a dispetto del pericolo si recò poi a Dublino per far visita al suo vecchio maestro, il vescovo Plunkett, che stava morendo, e la sua sorte fu segnata: a dicembre fu arrestato e rinchiuso nel castello di Dublino.
Nel luglio 1680 fu processato a Dundalk con l'accusa ridicola di aver tentato di far entrare settantamila soldati francesi in Irlanda; i testimoni principali dell'accusa non comparirono, fatto di cui non ci si deve meravigliare, ed egli fu di nuovo rinchiuso in prigione a Dublino, dove si riconciliò con il suo avversario di un tempo nella questione della supremazia, l'arcivescovo Talbot, anch'egli detenuto. Le autorità inglesi si accorsero che sarebbe stato quasi impossibile istituire una causa contro l'arcivescovo in Irlanda, dove era rispettato da cattolici e protestanti; era necessaria una dichiarazione che rendesse credibile il presunto complotto.
Nell'ottobre del 1680 lo portarono a Londra e lo processarono per tradimento, anche se a quel tempo i tribunali inglesi non avevano giurisdizione su coloro che erano accusati di crimini commessi. in Irlanda e, in ogni caso, la durata del tempo trascorso tra l'ipotetica offesa e l'imputazione era maggiore di quanto stabilito dallo statuto. Il 3 maggio 1681 fu accusato formalmente di «aver complottato la morte del re, di voler provocare la guerra in Irlanda, alterare la vera religione di quel luogo, e far entrare una potenza straniera nel paese» (Curtis).
Gli furono concesse cinque settimane per far comparire i suoi testimoni richiamandoli dall'Irlanda, ma giacché era impossibile farlo nel tempo concesso, il processo proseguì in giugno. I testimoni dell'accusa erano un gruppo di frati e sacerdoti apostati, con alcuni criminali comuni, che sostennero, di fronte alla corte soddisfatta, l'esistenza in Irlanda di un complotto per far infiltrare i francesi; di conseguenza il coinvolgimento dell'arcivescovo, capo dei cattolici irlandesi, sembrava molto probabile, anche se non si poteva esibire nessuna prova a sostegno. Fu data molta importanza al fatto che l'imputato avesse raccolto del denaro in Irlanda e ne avesse mandato una parte a Roma (presumibilmente per finanziare l'invasione francese), perciò fu riconosciuto colpevole di tradimento, condannato a morte, poi impiccato, sventrato e squartato a Tyburn 1'1 luglio.
Il corpo fu portato nell'abbazia benedettina inglese di Lambspring, in Germania, nel 1684, dal benedettino Mauro Corker, che era stato in prigione con Oliviero, con l'accusa di aver partecipato al complotto, ma era stato poi rilasciato nel 1683. Nel 1883 le reliquie di Oliviero furono traslate nell'abbazia di Duwnside, nel Somerset. Corker portò la testa del martire a Roma e la consegnò al cardinale Howard; in seguito fu donata all'arcivescovo di Armagh, che la diede al convento domenicano di Drogheda, ma ora si trova nella Blessed Oliver Plunkett Memorial Church della stessa città. Oliviero è stato beatificato nel 1920 e canonizzato nel 1975.
Restano duecentotrenta lettere del santo, quasi tutte scritte personalmente, la maggior parte delle quali risale agli anni del suo episcopato, dal 1669 al 1681, ed è di carattere ufficiale. Anche così, offrono un quadro inestimabile degli ideali e dell'operato dell'arcivescovo e delle «sue qualità, doti e debolezze umane» (I Ianly) nella difficilissima situazione irlandese del tempo. Le ultime lettere, scritte mentre aspettava il processo in prigione e dopo la sua condanna, sono molto commoventi e, nel complesso, mostrano che era un uomo di cultura, devoto al suo ministero pastorale, e con il coraggio di far sempre ciò che la sua coscienza riteneva giusto («lasciate che il mondo perisca, ma che sia fatta giustizia!» era uno dei suoi detti preferiti).
A volte usava un linguaggio aspro per condannare i suoi oppositori ed era chiaramente intollerante con coloro che sembravano ostacolare il progredire delle sue riforme; chiedeva il massimo ai suoi sacerdoti e non scendeva a compromessi con coloro che davano scandalo in qualsivoglia modo (ibid.).
Mentre attendeva la morte, scrisse a Corker: «Felici siamo noi che riceviamo un secondo battesimo, anzi un terzo; abbiamo ricevuto acqua, il sacramento della penitenza, cd ora riceviamo il battesimo del sangue». Secondo lui, le pene che avrebbe sofferto a Tyburn sarebbero state solo il «morso di una pulce» paragonate a quanto Cristo ha sopportato per noi; «la paura e la passione» di Cristo gli consentivano di non aver paura.
Dal momento che «sono il primo dei miei connazionali di quest'epoca a subire il martirio in questo luogo, desidero indicare la strada, e dal momento che ho esortato gli altri con la parola, in Irlanda, conviene che io li fortifichi dando l'esempio [...]. Dovrei perciò desiderarla gioiosamente [Tyburn], bramarla ardentemente, e accettarla gioiosamente, poiché è una strada sicura, un sentiero pianeggiante con cui posso, in brevissimo tempo, passare dal dolore alla gioia».
MARTIROLOGIO ROMANO. Ancora a Londra, sant’Oliviero Plunkett, vescovo di Armagh e martire, che, falsamente accusato di cospirazione e condannato a morte sotto il re Carlo II, al cospetto della folla presente davanti al patibolo, perdonò i suoi nemici e professò fino all’ultimo con fermezza la sua fede cattolica.
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