Il 22 ottobre 1630, il governo veneziano, a ringraziamento della cessazione di una gravissima pestilenza che aveva decimato la popolazione, decise solennemente di erigere un grande tempio votivo che doveva sorgere su una delle zone più suggestive e prestigiose di Venezia, prospiciente il Bacino di San Marco, all'inizio del Canal Grande.
STORIA
Gli edifici allora esistenti, compresi in una fascia tra il rio, poi divenuto della Salute, e i magazzini del sale di Punta della Dogana (tra i quali il monastero, la chiesa e la scuola della Trinità di cui si è detto precedentemente) furono abbattuti per far posto alla nuova costruzione. Il pubblico concorso subito bandito specificava l'ubicazione dell'area e la sua estensione, mentre non poneva alcun vincolo di scelta architettonica...continua
Quando il 1 aprile 1631 si pose ufficialmente e simbolicamente la prima pietra dell'edificio, la Signoria non aveva ancora scelto il modello da realizzare, mentre erano già in corso i lavori di demolizione, di rinforzo, di costipamento del terreno e di palificazione. Due mesi più tardi la commissione terminava l'esame degli undici progetti presentati e comunicava i risultati al governo a cui demandava la decisione finale. Infatti la commissione, forse su richiesta dello stesso Senato, aveva esteso la sua scelta a due progetti che rappresentavano soluzioni architettoniche emblematicamente diverse, una con il tradizionale sistema planimetrico longitudinale, l'altra a pianta centrale. Il governo a sua volta, letta la relazione che spiegava i motivi della scelta e illustrava vantaggi e svantaggi delle due soluzioni, rese pubblici i nomi degli autori dei progetti presentati e indicò a maggioranza il vincitore, senza mettere in discussione l'operato della commissione, ed anzi accettando il responso e il criterio che aveva informato la scelta. Il dibattito si svolse infatti, più che intorno ai due progetti, su quale dei due schemi fosse più idoneo a rappresentare con maggiore evidenza e singolarità l'iniziativa della Serenissima che si inseriva in un particolare momento storico e sociale. La città, appena uscita dalla terribile prova della peste, appariva prostrata, paralizzata nelle sue attività vitali, nei traffici e nei commerci; i veneziani, decimati dalla malattia, guardavano alla loro città con occhi nuovi, come se per la prima volta questa li avesse traditi. In questo clima di pessimismo e di lutto, appare significativo l'orientamento della Repubblica verso un monumento così diverso e nuovo che avrebbe dovuto riaffermare, anche simbolicamente, la fede nel futuro, l'orgoglio di una città che risollevava la testa. Vi era alla base di tale iniziativa una volontà politica ben determinata, intesa ad incentivare nel rinnovato sentimento religioso una maggiore partecipazione popolare alla vita della città. Né va dimenticato che con la nuova poderosa costruzione, Venezia ribadiva anche « politicamente » la sua fede cattolica, sempre messa in dubbio dall'ormai secolare sfida con il Papato (i Gesuiti erano stati banditi dalla città appena ventiquattro anni prima e la contesa con Paolo V era stata aspra e drammatica). Il progetto prescelto e realizzato fu quello, come tutti sanno, a pianta centrale ideato da Baldassare Longhena; quello rifiutato, ma aveva avuto in Senato i suoi sostenitori, era stato elaborato da Antonio Smeraldi, detto Fracao, assieme a Giambattista Rupertini, di cui non resta altro ricordo. Dello Smeraldi sappiamo che apparteneva ad una famiglia di costruttori architetti (il padre di Fracco, Francesco, era stato a suo tempo incaricato di portare a termine il progetto della chiesa di San Pietro di Castello), ed egli stesso aveva concorso per la carica di proto del Palazzo Ducale. Dal memoriale che lo Smeraldi scrisse al doge per perorare la sua causa e sottolineare i significati e i meriti delta chiesa da lui progettata, si vengono a' conoscere quelli che sarebbero stati i caratteri e l'impostazione generale dell'edificio. L'architetto era un fedele seguace delle tesi palladiane e come tale aveva guardato alle opere che il grande artista cinquecentesco aveva lasciato a Venezia, in particolare alla chiesa del Redentore alla Giudecca, sorta anch'essa come tempio votivo. È lo stesso Smeraldi ad affermare la diretta derivazione del suo progetto da quello del Redentore, sebbene da questo si differenziasse per le proporzioni ancora maggiori e per la monumentalità. Nonostante il memoriale e le rimostranze dello Smeraldi, che era giunto a screditare il progetto dell'avversario, il governo della Repubblica fu in quest'occasione irremovibile e affidò ufficialmente l'incarico al giovane Longhena — aveva appena trentadue anni — che iniziò subito i lavori. Al rivale che aveva insinuato dubbi sulla staticità dell'edificio, il Longhena rispose con una lettera ufficiosa nella quale esprimeva fervidamente la sua fede nell'originalità dell'opera e accusava al tempo stesso lo Smeraldi di scarsa fantasia inventiva e di non essere professionalmente all'altezza di risolvere difficoltà statiche mai sperimentate.
Il Longhena, che fino ad allora non aveva eseguito opere di qualche rilevanza, giovane e dalle idee in linea con il gusto e con le ricerche del tempo, ma rivoluzionarie per Venezia, ottenne una definitiva vittoria non solo sul campo strettamente architettonico, ma anche su quello ideologico generale. Avveduta e lungimirante fu la Repubblica per aver saputo cogliere nel progetto dell'architetto la rispondenza con il suo disegno politico sociale, intelligente e pronto l'artista a « sentire » gli umori di quegli anni e le possibilità di esprimere e far accettare le sue idee in un ambiente notoriamente legato alla tradizione.
Dagli scritti dello stesso Longhena si arguisce che egli gioca d'azzardo nel senso che del suo progetto sottolinea proprio la novità e l'originalità quando lo descrive come « una rotonda macchina che mai s'è veduta né mai inventata ». In realtà la macchina rotonda del Longhena era effettivamente un'opera di concezione nuova non solo per Venezia ma per l'Italia se si pensa che nel 1631 i due maggiori architetti italiani, Bernini e Borromini, dovevano ancora realizzare le loro opere più importanti.
L'esterno
L'ESTERNO
In tal modo la chiesa della Salute, posta com'è all'ingresso del Canal Grande, assume un eccezionale significato urbanistico e ambientale, oltre ad offrire nuove soluzioni planimetriche e architettoniche. Se poi si considera che nel Seicento la situazione edilizia circostante, composta di bassi edifici di modesta entità, si presentava in forme affatto diverse dalle attuali, si può immaginare come tale nuova soluzione dovesse esprimersi con evidenza ancora maggiore; l'altissima cupola della navata e quella posteriore del presbiterio affiancata dai due campaniletti emergevano con slancio e con forza assumendo ancor più quella funzione di simbolo che la Repubblica aveva inteso dare alla chiesa. Questa si poneva al centro di uno spazio vastissimo che andava dal Canal Grande a quello della Giudecca, da San Giorgio al Palazzo dei Dogi passando attraverso l'ampio Bacino di San Marco.
L'architetto dedicò l'intera vita alla realizzazione di quest'opera che amò più di ogni altra; al momento della sua morte, nel 1682, la basilica di Santa Maria della Salute era quasi compiuta. Antonio Gaspari, collaboratore del maestro, rifinì quanto il Longhena non aveva potuto portare a termine.
Il Portone con gli evangelisti
L'ingresso verso il Canal Grande è preceduto da un'alta gradinata che si sviluppa parzialmente lungo i prospetti contigui, congiungendosi secondo una forma di esagono molto allungato e che detta anche il disegno della pavimentazione.
La facciata principale è stata decorata dallo scultore Tommaso Rues con statue marmoree dei quattro evangelisti:
L'INTERNO
La chiesa ha pianta ottagonale ed è sovrastata da un'altissima cupola impostata su otto colossali pilastri. Intorno gira un peribolo con sei cappelle; opposto all'ingresso principale si apre il vasto presbiterio ad esedre, sormontato anch'esso da una cupola, di minori dimensioni; quindi, affiancati a questa seconda cupola ma in posizione leggermente arretrata, i due campanili. Ai lati della pianta ottagonale il Longhena fece corrispondere altrettanti prospetti, dei quali sottolineò quello principale con l'erezione di mezze colonne su alti piedestalli, secondo la lezione palladiana.
Discesa dello Spirito Santo (Tiziano)
Nelle cappelle laterali si trovano la tela Discesa dello Spirito Santo di Tiziano Vecellio e l'altare dell'Assunta con la pala di Luca Giordano, la statua di San Girolamo Miani di Giovanni Maria Morlaiter e altre opere scultoree di Tommaso Rues.
In generale lo spazio interno è raccolto e rigorosamente disegnato; al contrario i valori plastici all'esterno sono numerosi e ricchi di membrature e di ornati, tra cui spiccano le ampie volute a contrafforte della cupola.
Antonio Gaspari, che come si è detto affiancò il Longhena negli ultimi anni per portare a termine l'opera, lasciò in una raccolta di disegni una preziosa testimonianza di come il maestro voleva fosse decorata la cupola. E lo stesso Longhena scriveva nel 1679 che la cupola dovesse avere ornamenti in stucco e, nel fondo dei riquadri, pitture a olio. Il governo veneziano aveva invitato Lorenzo Bernini ad eseguire l'altar maggiore. La richiesta rimase, per motivi di cui non si ebbe mai spiegazione, inascoltata e dell'opera si incaricò lo stesso Longhena che realizzò un altare di grande imponenza, animato dalle movimentate statue di Giusto Le Court.
L'altare
Accanto alla maestosa mole della Salute si sviluppa il corpo del convento dei Somaschi, ora seminario, che si inserisce nello spazio compreso fra il Canal Grande e il Canale della Giudecca, lasciando verso il primo un ampio campo a servizio della chiesa e verso il secondo un terreno libero adibito a orti e giardini.
Seminario Patriarcale
I Somaschi, che si erano resi meritori presso la Repubblica per la loro attività nel campo dell'educazione della nobiltà e dell'alta borghesia veneziana, ebbero l'autorizzazione dalla Serenissima, che forse li aiutò anche economicamente, ad edificare la nuova scuola. La costruzione, anch'essa progettata dal Longhena, ha planimetria del tipo a blocco con ampio cortile interno e presenta le facciate di forme assai semplici, prive come sono di particolari architettonici di rilievo.
L'intero complesso ha caratteri di estrema sobrietà che bene introducono all'imponenza della chiesa, di cui evidenziano la sontuosa maestà.
ORARI
VISITE
lunedì-sabato: 9.30-12.00 e 15.00-17.30
domenica: 9.30-12.00 e 15.00-17.30
SACRESTIA (4€ il biglietto)
lunedì-sabato: 10.00-12.00 e 15.00-17.00;
domenica: 15.00-17.00
VISITA IN TRE DIMENSIONI