Elisabetta Catez nacque nell'accampamento militare di Avor, vicino a Bourges, il 18 luglio 1880. La famiglia visse per un periodo ad Auxonne e poi si trasferì a Digione, dove, il 2 ottobre 1887, il padre morì.
Elisabetta era una bambina vivace, impetuosa e riflessiva; sua sorella Margherita la descrisse come un «piccolo diavolo». Tuttavia, la sua prima comunione, ricevuta il 19 aprile 1891, provocò un profondo cambiamento in lei, rinforzato dal sacramento della confermazione il 18 giugno dello stesso anno.
Già da giovane, percepì una vocazione per il silenzio, il raccoglimento interiore e un amore particolare per la preghiera contemplativa. Nonostante non avesse ricevuto una vera istruzione scolastica, due istitutrici le insegnarono i rudimenti del sapere e la letteratura. Elisabetta possedeva anche un considerevole talento musicale: imparò a suonare il pianoforte al Conservatorio di Digione, ottenendo vari premi e scoprendo che la musica era una forma di preghiera.
A quattordici anni, affermò di sentirsi «spinta irresistibilmente» a scegliere Cristo come suo sposo: «Mi dono totalmente a Lui, con un voto di verginità, senza esitazione». La sua sola ambizione divenne entrare nel Carmelo. Tuttavia, la madre vedova, che sperava di ottenere un guadagno dalla sua carriera musicale, le proibì qualsiasi contatto con il Carmelo di Digione, cercando invece di presentarla a uomini influenti.
Pur obbedendo alla madre, Elisabetta non cambiò idea e, nel 1899, la madre accettò a condizione che aspettasse di compiere ventun anni. Elisabetta acconsentì con gioia e trascorse i due anni successivi conducendo una vita normale: insegnava catechismo, assisteva i poveri e partecipava a eventi sociali per volere della madre. Elisabetta era consapevole della presenza della Trinità dentro di lei e scrisse: «Perfino al centro del mondo si può ascoltare Dio, nel silenzio di un cuore che desidera soltanto appartenergli».
Entrò nel Carmelo di Digione il 2 agosto 1901, piena di speranza. Tuttavia, l'11 luglio 1903, iniziò a manifestare i primi sintomi del morbo di Addison, una malattia rara e incurabile all'epoca, causata da una disfunzione delle ghiandole surrenali. Elisabetta accettò la malattia con serenità, affermando: «È giusto conformarsi al Cristo crocifisso nell'amore». Nell'estate del 1906, le sue condizioni peggiorarono; il 21 novembre 1904 si era offerta come «vittima» alla Trinità, e ora percepiva di essere stata presa alla lettera.
Durante la malattia, scrisse: «Il Padre mi ha scelto perché fossi conforme al suo Figlio crocifisso. Il mio Sposo desidera che io sia l'umana trasposizione della sofferenza per la gloria del Padre e la salvezza della Chiesa, e questo pensiero mi rende così felice». Parlò molto della gioia: maggiore era la sofferenza, maggiore era la fede nella gioia eterna che sperava di ottenere.
Verso la fine, Elisabetta soffrì anche spiritualmente, sentendosi desolata e abbandonata. L'1 novembre 1906, disse: «Tutto passa. Al tramonto della vita, non rimane altro che l'amore. Bisogna fare tutto per amore». Rimase tra la vita e la morte per otto giorni, mormorando: «Sto andando verso la luce, l'amore, la vita». Morì il mattino del 9 novembre 1906.
Elisabetta riassunse il suo pensiero in una lettera del 1902: «Portiamo dentro di noi il paradiso, poiché colui che illumina i santi con la visione celeste si concede a noi nella fede e nel mistero. Sento di aver trovato il paradiso sulla terra, poiché il paradiso è Dio e Dio è nella mia anima. Voglio sussurrare questo segreto a tutti quelli che amo, affinché anch'essi si innalzino sempre più verso Dio».
Giovanni Paolo II la considerò uno dei maestri spirituali più influenti della sua vita e la beatificò il 25 novembre 1984, nella solennità di Cristo Re. Papa Francesco la canonizzò il 16 ottobre 2016.